Per il primo editoriale del nuovo anno, l’idea era quella di scrivere un commento ragionato sul singolo Gangnam Style del rapper coreano PSY, non per apprezzamento personale nei confronti del video o del brano musicale, quanto per il fenomeno popolare in sé; Gangnam Style ha ottenuto il record, a fine dicembre 2012, di primo video nella storia ad aver raggiunto il miliardo di visualizzazioni su YouTube.
Poi è arrivata, a gran sorpresa, la notizia del ritorno del Duca Bianco e l’analisi del fenomeno del tamarrissimo PSY, dei flash mob che ha generato in tutto il mondo e delle parodie e reinterpretazioni di ogni tipo e ad ogni livello, può aspettare. David Bowie taceva, con l’eleganza che lo contraddistingue, da dieci anni. Non appariva in pubblico, non faceva concerti e aveva rifiutato anche la partecipazione all’apertura delle Olimpiadi di Londra 2012 nonostante le richieste insistenti da parte di Danny Boyle, alla regia della cerimonia inaugurale. Il giorno del suo sessantaseiesimo compleanno (8 gennaio) Bowie ha pubblicato sul suo sito un singolo nuovo, Where Are We Now, che anticipa l’uscita in marzo del nuovo album: The Next Day. Assai diverso dall’immagine atemporale che dava di sé in Reality, Bowie è per la prima volta segnato dal tempo, privo di maschere ma non di fascino statico e impenetrabile. Il videoclip è firmato dall’artista Tony Oursler, “padre” della video-scultura, già membro del gruppo Poetics (con Mike Kelley e John Miller) e collaboratore, fra gli altri, di Dan Graham e dei Sonic Youth.
Oursler, che è noto per l’uso di volti deformati dalla loro proiezione su sfere, usa per Where Are We Now il volto del cantante e quello di una donna che gli sta accanto, ritagliati sulle teste di due peluche d’altri tempi, souvenir desueti provenienti forse da quei lontani anni Settanta in cui il Duca Bianco viveva a Berlino. Dietro di loro un monitor proietta vecchie immagini in bianco e nero della capitale tedesca e tutto intorno sono disposte alla rinfusa sculture, lampade, strumenti e arnesi di un artista che osserva il suo atelier, i suoi ricordi e i suoi oggetti. Nostalgico, struggente.