Festival dei Popoli, 10-17 novembre 2012, Firenze
Documentario tra analisi del presente e riflessione stilistica
Si concluderà questa sera, sabato 17 novembre, con la premiazione dei film vincitori, la 53° edizione del Festival dei Popoli. Una settimana che, accanto alla proiezione di più di 70 film in concorso, ha ospitato alcuni eventi speciali, da Room 237 di Rodney Ascher, presentato nella serata di apertura, fino a Park Avenue – Money, Power & the American Dream di Alex Gibney, ieri al cinema Odeon in anteprima europea.
Se il documentario di Ascher indagava con ironia l’eredità di Shining e la congerie di fenomeni culturali che negli anni ha ispirato (dal fanatismo alle letture più improbabili), il film di Alex Gibney offre invece uno spaccato di realtà racchiuso tra le due rive del Bronx, emblematico di un sistema ben più sottile e tentacolare. Un percorso, quello dal cinema che esplora se stesso all’analisi del presente, che riflette in un certo senso l’evoluzione dello stesso Festival, sempre più attento a valorizzare film focalizzati su eventi attuali. Nel caso di Park Avenue è la dicotomia tra Manhattan e il Bronx, così vicini fisicamente e concettualmente agli antipodi, il punto di partenza per un’analisi economica e sociale dell’America contemporanea. In Park Avenue la macchina da presa scorre fluida e magniloquente: riprese aeree sui grattacieli di Manhattan e placidi carrelli lungo le strade del quartiere mostrano scene e personaggi da vetrina, autisti inguantati e macchine di lusso, uomini manierati e donne strette in impeccabili tailleur. L’American Dream si dipana noncurante sotto lo sguardo del regista, con la calma indolente tipica dell’opulenza. Tutt’altra storia al di là del fiume. Case popolari e squallide baracche, giri di vite sulle strade affollate e la macchina da presa che vi si immerge, si sofferma, arranca nel flusso e soffoca sui mezzi pubblici. La vita ritrova la sua ruvida concretezza, l’urto brutale del farsi strada. Ma non c’è speranza di mobilità sociale, né utopia di attraversare il fiume. Lo status quo è tenacemente mantenuto da quella ristretta minoranza che accentra benessere e ricchezza, 400 americani che gestiscono un patrimonio corrispondente a quello di 150 milioni di persone. L’attualità è anche il punto di riferimento per molti dei film in concorso. Tra i lungometraggi, ad esempio, Comme si nous attrapions un cobra di Hala Alabdalla indaga la realtà di Damasco poco prima della rivoluzione siriana, scegliendo di avvalersi del potere espressivo delle vignette, sistematicamente censurate, dei disegnatori egiziani e siriani. Sofia’s Last Ambulance di Ilian Metev, invece, riflette sull’insufficienza dei mezzi a disposizione del servizio sanitario in Bulgaria, e lo fa con uno stile essenziale e uno sguardo profondamente umano, pronto a cogliere sfumature e espressioni sui volti del personale medico. Tra i registi italiani è soprattutto Paola Piacenza a mettere in scena la complessità di un presente in rapida trasformazione: In uno stato libero racconta la situazione in Tunisia dopo il crollo del regime attraverso la storia di Zarzis Tv, una web tv gestita da giovani tunisini che si fa strumento di indagine e testimonianza indipendente. E con la riflessione su un giornalismo libero, fatto di mezzi di fortuna e impegno assiduo, chiude il cerchio tra oggetto e linguaggio dell’indagine sul reale.