Festival Internazionale del Film di Roma, 9-17 novembre 2012, Roma
Innamorarsi un giorno a Roma
Per un certo immaginario, soprattutto straniero, la città Eterna è anche una meta romantica ideale, per le sue atmosfere e i suoi colori, a coronare, o a far ripartire, una storia d’amore. Proprio l’amore, con i suoi effetti entusiasmanti e soprattutto con quelli deleteri sull’individuo, è un tema ricorrente in molti film selezionati per il concorso della 7° edizione del “Festival Internazionale del cinema di Roma”.
In queste opere il sentimento più raccontato nella storia del cinema e della letteratura viene inteso in molte sue varianti e partendo da ottiche diverse: amori spensierati a suon di musica, amori malati e ossessivi, anticamera della follia, così come quelli filtrati dall’immaginazione e dal cinema. Sono stravaganti storie d’amore i due migliori film della selezione: Main dans la main di Valérie Donzelli e A Glimpse Inside the mind of Charles Swan III del figlio d’arte Roman Coppola.
La regista francese, dopo La guerra è dichiarata, si riconferma con la storia lievissima e senza pretese di due persone, diversissime tra loro, che incontrandosi per la prima volta non riescono materialmente più a separarsi, venendo così obbligate a una convivenza forzata. La semplicità della storia è sublimata da una rafforzata consapevolezza stilistica e dal sagace tono fiabesco e surreale, nonché dal sapiente utilizzo delle armi della commedia e del musical: un cinema soave e onirico, capace di coinvolgere ed emozionare. In A Glimpse Inside the mind of Charles Swan III risuonano echi della New Hollywood, dei Coen, delle serie animate come I Griffin, fino ad arrivare alla Pop art e ai fumetti, il tutto in una cornice di grande libertà narrativa e stilistica. Charles Swan, a causa della mai sopita passione per il gentil sesso, è stato appena lasciato dalla sua ragazza, che inesorabilmente riappare nelle fantasie prodotte dalla sua fervida e stravagante immaginazione. Coppola, partendo dall’ossessione tipica di chi viene lasciato, mette in scena la figura di un “fallito” e di uno sconfitto che si affida all’immaginazione per sfuggire alla consapevolezza del suo stato. Il film, sotto la crosta di commedia divertente e visionaria, ha un cuore malinconico e amaro, regalando più di un sottotesto.
Anche i due film meno riusciti del concorso sono storie d’amore: E la chiamano estate di Paolo Franchi e Un enfant de toi di Jacques Doillon. Il film di Franchi, prodotto da Nicoletta Mantovani, racconta la deriva di un uomo che non riesce/vuole consumare con la moglie, e che per questo si lascia andare alla disperazione e alla perdita di autostima. Un film vuoto, supponente e arrogante (atteggiamenti confermati dal regista in conferenza stampa) nel suo voler apparire a tutti costi come film d’arte, farcito di una volgarità effettiva e soprattutto intellettuale, compiaciuto e pruriginoso. Anche nel film di Doillon gli stereotipi del “film d’autore” sono alla base di un’opera pretenziosa e di dubbia utilità, che fa continuamente il verso a Jules e Jim, dimenticandosi che il film di Truffaut riusciva a raggiungere il senso profondo e assoluto del sentimento rappresentato soprattutto grazie al formidabile linguaggio cinematografico, elemento che sembra essere del tutto assente nel film di Doillon, ripetitiva e stancante vicenda di due ex sposi che si inseguono, si sfuggono e si riprendono, per la quale è calzante il vecchio modo di dire “cinema dell’ombelico”.