La scienziata Jane Foster sta conducendo delle ricerche sui misteriosi fenomeni del cielo in New Mexico durante una tempesta. Contemporaneamente Thor, potente dio del tuono, disobbedisce al padre Odino riaprendo una guerra secolare con i Giganti di Ghiaccio. Per punizione viene privato dei suoi poteri e mandato in esilio sulla Terra, ultimo dei nove regni dell’Albero del Mondo, dove trova Jane.
Il prologo, forse troppo lungo ma soprattutto mal scalettato poiché si poteva iniziare direttamente dalla narrazione mitologica, ci introduce in due mondi ben distinti: il deserto terrestre con scenografie “hey-siamo-finte” di una cittadina sperduta invasa dagli “hey-siamo-finti” agenti del FBI, contrapposto al mondo sottosopra di Asgard, vitale pianeta con edifici dorati e ponti sospesi lastricati che sembrano una schermata di Guitar Hero.
L’effetto è che appare più reale e plausibile il mondo fittizio creato in computer-grafica seguendo i dettami del patinato universo Marvel che non il mondo reale, dove i personaggi sembrano meno approfonditi e curati; come se la mancanza di un’armatura che li identifichi sia la scusa per non caratterizzarli nei comportamenti e soprattutto nei sentimenti. Non poteva esimersi la sempre brava Natalie Portman, nei panni della scienziata dedita esclusivamente alle sue ricerche, dall’innamorarsi dello straniero venuto dal cielo Chris Hemsworth non appena questi gira a torso nudo per casa (è un dio e certo non hanno usato effetti speciali per lui). Ma non abbiamo nemmeno il tempo di fare un sospiro sognante che, ecco, il ponte tra i mondi Bifrost deve essere distrutto e i due non potranno più rivedersi, ognuno confinato nel suo mondo in attesa di un eventuale Thor 2 – la vendetta di Loki. Sì, perché Loki approfitta dell’esilio del fratello maggiore e di un malore del padre per impossessarsi del trono che mai gli sarebbe spettato, concordando un doppio gioco coi Giganti, ma il suo piano non va a buon fine. E come mai potrebbe? Stiamo vedendo un film tratto da una graphic novel, è un presupposto che tutto sia amplificato e che possibilmente ci sia un happy end in cui l’eroe ha concluso il suo viaggio sia spaziale che interiore, maturando e diventando degno del suo ruolo e gli antagonisti vengono puniti per le loro malefatte.
Kenneth Branagh confeziona, con il suo stile eclettico, mai troppo lontano dal suo tanto amato Shakespeare, un film di moderna epicità che si inserisce perfettamente nel filone fumettistico portando con sé un pizzico di branaghiana poesia.