Della forza dei combattimenti e del fascino degli eroi rimane ben poco. Tutto il film si concentra sulla magnificenza dei palazzi, sull’oro e sullo scintillio delle armature… e dell’epica e del coraggio dei guerrieri non c’è quasi nulla.
Si punta tutto sugli effetti speciali e sulla possibilità di ricreare uno splendore capace di far rimanere a bocca aperta lo spettatore. Dunque non potevano mancare lunghe carrellate aeree sui palazzi del regno di Asgard dall’architettura solenne e splendente, ma è proprio in questa magnificenza che si intuisce la debolezza della pellicola e la sua incapacità di restituire quella sicurezza, quella forza e quei valori che rendono vivi ed irresistibili i cavalieri e le loro armature. Nel possente Thor non c’è niente del carattere di un vero cavaliere; il nostro eroe si confonde, e – inesperto della vita – cade confidando più nella forza dei propri muscoli che nella verità degli insegnamenti del padre. Anche lo scontro con l’autorità paterna e la rivalità con il fratello perdono quello spessore tipico della mitologia poiché la narrazione della caduta e della risalita del dio non sembra puntare ad alcun insegnamento. L’eroe così grande e grosso non è poi così tormentato; e le tematiche shakespeariane si rivelano semplicemente un contenitore dove andare a cercare le linee guida di un plot più o meno complesso.
Poi il film cade tristemente sul terreno della commedia, e ai soliti luoghi comuni degli incontri-scontri automobilistici tra i protagonisti non si contrappone nemmeno la compostezza del principe. Il linguaggio solenne dell’epica così non sembra trovare un terreno fertile dove affondare le proprie radici né nel carattere dei personaggi, né nella rappresentazione delle battaglie e degli ambienti. Il possente Thor si trova a sbattere contro porte scorrevoli e a chiedere un destriero in un negozio di cani e gatti… che tristezza!