Festival Internazionale del Film di Roma, 9-17 novembre 2012, Roma
Italiani a Roma
La settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma concede, come tradizione, grande spazio al cinema italiano, non solo attraverso la proiezione di novità, ma anche attraverso documentari e opere che celebrano la grandezza e la storia del nostro cinema (è il caso di Carlo! su Carlo Verdone e de L’insolito ignoto su Tiberio Murgia).
In questi primi giorni, particolarmente attesi sono stati due film che hanno in comune l’utilizzo di un elemento fantastico o irreale per affrontare un tema dolente del nostro passato: l’esordio alla regia del romanziere Carlo Lucarelli con L’isola dell’angelo caduto, tratto dal suo omonimo romanzo, e La scoperta dell’alba, seconda fatica di Susanna Nicchiarelli ispirata al romanzo d’esordio di Walter Veltroni, entrambi presenti nella sezione “Prospettive Italia”. Il giallista intende usare gli echi soprannaturali e angoscianti della vicenda come metafora dell’ignavia, del disinteresse e della paura che sono stati alla base dell’affermarsi del fascismo in particolare e di ogni dittatura in generale: lo fa con una messa in scena caricata, teatrale ed espressionista e prendendo in prestito effetti e effettacci dall’horror e dal thriller. Peccato che questa idea di fondo rimanga incompiuta, con Lucarelli che sembra essere caduto nell’equivoco per cui essere regista significhi fare inquadrature o scelte di montaggio “strane” e appariscenti, anche quando, come in questo caso, sono deboli le basi grammaticali del linguaggio. Se l’avventura televisiva dello scrittore ha avuto fortuna e Blu Notte è uno dei programmi più meritevoli degli ultimi 15 anni, questo primo passo nel cinema non lascia altrettanto ottimisti. Susanna Nicchiarelli con Cosmonauta, pur esile e un po’ incompiuto, aveva lasciato intravedere buone potenzialità, e perciò c’erano molte aspettative per il suo secondo film: purtroppo, il passo in avanti è rimandato a una migliore occasione. La scoperta dell’alba rimane infatti sterile ed esile, oltre ad essere troppo sbilanciato verso il privato nell’ottica del gioco pubblico-privato che è il senso della vicenda. Non scava in profondità la riflessione sul passato del terrorismo degli anni di piombo come ombra che oscura il presente del singolo, la cui condizione avrebbe, nelle intenzioni, dovuto diventare metafora del rapporto tra il nostro paese e quella tragica stagione non ancora chiusa, digerita e interiorizzata dalla nazione. Allo stesso modo non sono state colte le potenzialità narrative e tematiche delle telefonate tra la protagonista e la di lei bambina, e il film non si allontana così da quel cinema italiano “carino” nel senso più limitante del termine, convenzionale e vacuo. Va un po’ meglio con il secondo film italiano in concorso, Il volto di un’altra di Pappi Corsicato, apologo grottesco e ironico nel cui calderone finiscono tematiche come l’ossessione dell’apparenza, il circo mediatico, l’egoismo, l’avarizia e il vuoto cosmico di certo spettacolo: pur essendoci troppa carne al fuoco, non tutta cotta al punto giusto, il film è beffardo e incisivo, oltre ad essere caratterizzato da un vivace gusto visivo e cromatico negli ambienti, nei costumi e nella scenografia. Infine, non delude Michele Placido in trasferta francese: con Il cecchino (Le Guitteur, presentato fuori concorso) anche attraversate le Alpi il regista pugliese continua la rappresentazione della malavita con un robusto e coinvolgente poliziesco, che non raggiunge i livelli di Romanzo Criminale ma che regala tutto quello che ci si aspetta, dalle atmosfere alle facce dei personaggi.