Un nuovo registro
La rabbia è un impulso che a volte fa fare cose sbagliate, ti dimentichi di tutto e tutti, il tuo passato, il tuo futuro e le persone che ti stanno attorno, però ci sono dei momenti in cui l’unico modo per affrontare le cose è dettato dall’irrazionalità e dall’impulsività che caratterizzano questo sentimento.
A questo ha di sicuro pensato Ken Loach durante la realizzazione del suo nuovo film L’altra verità, insieme alla scrittura del fidato Paul Laverty, una pellicola che affronta argomenti nuovi per il regista inglese. Il centro della vicenda, infatti, è la guerra in Iraq e ciò che ha rappresentato per numerosi militari in tutta Europa, un incubo con un difficile risveglio che ricorda, per alcuni versi, il dopo Vietnam americano. Per la prima volta durante la sua carriera, Loach affronta non più la guerra in sè, come fece per esempio in Il vento che accarezza l’erba, ma ciò che comporta il ritorno da un conflitto a discapito di chi sotto le bombe ci è rimasto ancora. E come in Redacted di De Palma, nel nuovo millennio l’importanza delle nuove tecnologie è sottolineato per poter finalmente rivelare al mondo come si vive in battaglia; la potenza delle immagini ancora una volta, la scoperta della verità attraverso di esse è una pratica che oggi sempre più è fondamentale per svestire la realtà. Loach ci racconta tutto questo con una storia rabbiosa in cui spiazza lo spettatore abbandonando il suo stile asciutto e pacato in favore di una regia più nervosa e di scene più violente e “dirette”. E’ un attacco che Loach opera verso un certo sistema che cerca ancora di nascondere la realtà della guerra, l’impunità di certi delitti e la potenza dei governi. il regista in questo ultimo lavoro ha abbandonato le figure dei loser dei suoi film precedenti, e con un coraggio da esordiente, ha scardinato alcuni elementi fondamentali del suo cinema, abbracciando uno stile nuovo e particolare. L’azione e il ritmo però non sminuiscono l’ottima sceneggiatura di Laverty, anzi la rendono più intrigante (degne di nota la punizione inflitta al soldato “nemico” e ai vertici del potere militare).
Un film sofferto e necessario che ha rialzato le quote di un regista che ultimamente dimostrava una discutibile stanchezza creativa, un urlo per non sentirsi più ripetere di essere “nel posto sbagliato, al momento sbagliato”.