A PROPOSITO DI WILLIAM FRIEDKIN…
A Babbo Natale piace menare i neri
Babbo Natale insegue un nero per le luride strade di Harlem, lo becca nonostante il panzone e lo mena a sangue. Sotto la barba posticcia e il costume rosso, Jim “Papà” Doyle, sbirro della narcotici di New York, spiccio, manesco, ossessivamente ligio al dovere, spesso sbronzo. Una delle entrate in scena più cazzute della Storia del cinema.
Il braccio violento della legge di Friedkin è uno di quei film magici che passano da una scena da antologia all’altra fin dalla prima sequenza, un pedinamento con omicidio tra i viottoli di Marsiglia, tutta giocata sui rumori e i ritmi della strada, senza musiche o parole, cesellata sugli spazi angusti delle viuzze, tra volti inquieti e paranoia crescente, fino al mortale colpo di pistola pulp che dipinge il volto della vittima con un sangue esageratamente rosso. Già dopo quindici minuti, Il braccio violento della legge ti ha ammanettato alla sedia. Devi assolutamente sapere se Doyle e il suo ridicolo cappellino riusciranno a fermare il raffinato trafficante di droga Alain Charnier, e soprattutto come, visto che tra inseguimenti finiti male e sanguinose sparatorie quel testone di uno sbirro sembra fare sempre la scelta sbagliata, quella più istintiva e violenta, lasciandoci spesso il morto. Che spettacolo però! Scene d’azione lunghe e complesse senza mai un cedimento di ritmo, esplosioni gore e attori e personaggi che si fissano nella memoria per un cenno perfetto al momento giusto nel luogo esatto, come l’ironico saluto di Fernando Rey (Charnier) a Gene Hackman (Doyle) quando riesce a sfuggirgli in metropolitana. Il finale poi, inusualmente cinico e antispettacolare, continua ancora oggi a stupire: d’obbligo vedere il seguito, Il braccio violento della legge 2 di Frankenheimer, tra i rari casi di sequel degni dell’originale. Questo perché ci si affeziona a “Papà” Doyle nonostante non sia altro che un buzzurro, neanche dal cuore d’oro, ma piuttosto dalle vene intasate di Four Roses, un bambinone testardo e riottoso mosso da un unico desiderio di legge e giustizia ad ogni costo. Ci si affeziona perché poliziotto atipico, né eroe né antieroe, sospeso nel grigio limbo tra i valori supremi del bene e del male, uno dei primi “sbirri violenti” che segneranno il cinema poliziesco americano degli anni ’70 e oltre (nonché i vari commissari di ferro nostrani) assieme al contemporaneo Callaghan nel Dirty Harry di Siegel. E ci si affeziona al film intero, anch’esso schizofrenico tra condanna ed elegia del suo protagonista, specchio spesso grottesco dello smarrimento di una società disillusa, violenta, caotica e repressiva come quella del post ’68: insomma, se vedere Babbo Natale che prende a calci un nero non è una metafora dell’oppressione capitalista sulle minoranze razziali…
Il braccio violento della legge [The French Connection, USA 1971],REGIA William Friedkin.
CAST Gene Hackman, Fernando Rey, Roy Scheider.
SCENEGGIATURA Ernest Tidyman, basata sull’onomimo libro di Robin Moore. FOTOGRAFIA Owen Roizman. MUSICHE Don Ellis.
Poliziesco, durata 104 minuti.