The Nation under God
La famiglia è un’istituzione sacra, benedetta da Dio, tutelata dalla legge, approvata dalla morale. Quella del protagonista Chris e di sua sorella Dottie è costruita su un equilibrio precario fatto di vicendevole sopportazione e segreti nascosti da parte di ciascuno.
Vivono tutti in un limbo bagnato da un’accecante luce solare, così bianca e splendente da suggerire come il paradiso non possa essere così distante. Al tempo stesso le ombre sono nascoste dietro l’angolo pronte a balzare e mietere vittime, dando vita a giochi di luci e colori capaci di raggiungere estreme punte di efficacia visiva. Se colpisce la scena nel night club completamente virata al blu lunare, è la folgore su cielo viola la più simbolica: un secondo e la notte è illuminata a giorno, una sorta di collera celeste che si manifesta tre volte prima della fine. Insieme all’ambiente, anche nei personaggi si scoprono sfumature di tono che finiscono per caratterizzarli, dal rosso del sanguigno fratello maggiore, al viola scaltro della lussuria della matrigna, fino al grigio del padre inetto e inutile. Si passa poi al nero di Joe, il diavolo in terra che suadente si insinua nella famiglia, in aperto contrasto col bianco verginale di Dottie, l’angelo biondo sceso dal cielo per dispensare puro amore. Di nuovo il chiarore massimo che contiene e riflette ogni radiazione luminosa, personificato non solo dal candore della ragazzina, ma ritrovato anche nella luce lattea che illumina il tavolo intorno al quale tutti sono seduti per consumare l’ultima cena. Li abbraccia dall’alto, li fa inchinare e li benedice con la mano pesante di un dio castigatore. Con cinica ironia la religione entra prepotente in una storia il più distante possibile dalla morale cristiana: minacciose croci controluce spiccano al lato della strada, la preghiera di ringraziamento prima del pasto, un funerale grottesco osservato dal punto di vista del morto. Sopra tutti questi dettagli si staglia la lotta lungo tutta la pellicola tra l’angelo, messaggero divino in terra, e il diavolo pronto a irretirlo con dolci promesse. Inaspettatamente tra loro nasce amore, l’aver bisogno l’uno dell’altro, come la luce non può vivere senza l’oscurità, così il bene senza il male, l’innocenza senza la perversione. Killer Joe è visivamente definito e mai esagerato, anche quando il rischio sarebbe stato alto, guadagnandosi un giudizio positivo grazie al suo aver trattato e giocato con temi stereotipati – la famiglia, la religione, l’amore – rivoluzionandoli alla radice e interpretandoli controcorrente, senza paura di calcare la mano, soprattutto perchè quando lo si fa quasi non ci se ne accorge.
Killer Joe [id., USA 2011] REGIA William Friedkin.
CAST Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Thomas Haden Church, Juno Temple.
SCENEGGIATURA Tracy Letts. FOTOGRAFIA Caleb Deschanel. MUSICHE Tyler Bates.
Drammatico/Noir, durata 103 minuti.