Omaggio a Michelangelo Antonioni nel centenario della nascita, Cineteca di Bologna, dal 27 settembre
Sola umanità
In occasione del centenario dalla nascita di Michelangelo Antonioni, la Cineteca di Bologna e il Comune di Ferrara rendono omaggio all’autore ferrarese – a partire da settembre – con una retrospettiva, una monografia curata da Carlo di Carlo e una mostra di prossima apertura a Palazzo dei Diamanti a cura di Dominique Paini dedicata al rapporto tra Antonioni, pittura e fotografia.
Nella serata inaugurale della rassegna bolognese sono stati presentati i primi rari cortometraggi del regista, esperimenti linguistico-visivi in cui il cineasta dimostra già le sue doti autoriali e i primi abbozzi di uno stile che, di lì a poco, si sarebbe concretizzato nel suo cinema. Osservando questi lavori non è possibile non scorgervi tratti neorealisti nella rappresentazione schietta e diretta dell’ambiente e della quotidianità della Gente del Po (girato nel 1943 a pochi metri dal set di Ossessione di Visconti, anticipatore della corrente cinematografica più influente del secondo dopoguerra) e di quella ai “margini” della città di N.U. (1948) con uno sguardo ai particolari e ai dettagli, rintracciabili nelle brevi divagazioni visive dei suoi film successivi. Con L’amorosa menzogna (1949) Antonioni anticipa la riflessione sulla “falsità” dello spettacolo in rapporto alla realtà della vita ripresa ne La signora senza camelie, spostando l’ambientazione dal mondo prettamente proletario del fotoromanzo a quello borghese del cinema. Lo stesso argomento è affrontato in Superstizione (1949), ma in maniera più ampia e articolata. Qui il regista viene a mettere sotto analisi le arcaiche credenze superstiziose radicate nel tessuto di una dimensione culturale ancora arretrata come quella meridionale della fine degli anni Quaranta: “il rito come difesa (…) rimane tutto in superficie, e suona falso. Ma forse c’è qualcosa di più (…): il senso delle cose caricate di significati ulteriori per un’abitudine inveterata al simbolo” (Giorgio Tinazzi), base appunto di quel simbolismo che sarà costante stilistica del cinema più maturo del regista, come ad esempio in Zabriskie Point. Vertigine e La villa dei mostri (entrambi del 1950), restano lavori secondari. Il primo, frammento recuperato da La funivia del Falaria, consiste in una ripresa dalla cabina dell’impianto in movimento, mentre il secondo è un breve documentario – caratterizzato da un commento umoristico non certo punto di forza della produzione antonioniana – sulla città e il parco di Bomarzo, interessante per la rappresentazione dello spazio e dell’architettura ivi collocata da cui già emerge l’influenza di De Chirico maggiormente riscontrabile ne L’avventura o Il deserto rosso. Noto/Mandorli/Vulcano/Stromboli/Carnevale è invece del 1992. Qui il registro è completamente diverso. La macchina da presa si muove come uno spettro attorno ai suoi soggetti, rendendone un’immagine straniante e inquietante, carica di un tocco quasi espressionista nella rappresentazione dei paesaggi rintracciabile, ad esempio, nella raffigurazione della nebbiosa Ferrara di Al di là delle nuvole. Risulta evidente che questi cortometraggi non possono essere definiti veri e propri documentari. Come nei film di Robert Flaherty, anche qui molte scene sono chiaramente ricostruite ad hoc. Ma l’intento del regista non è tanto la ricerca antropologico-scientifica, quanto piuttosto un’indagine socio-culturale su un’Italia in mutazione e con essa la sua popolazione, indagine che proseguirà poi in tutta l’opera dell’autore, incentrata sull’Uomo, sui suoi limiti, contraddizioni e crisi interiori, segni del suo fallimento come “essere sociale”, emblema di una nuova epoca di cui Antonioni si è dimostrato sempre acuto osservatore e testimone.