Milano Film Festival, 12 – 23 settembre 2012
MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO
Una storia di sudore e passione
La cosa bella dei festival è che quando ti siedi in sala per vedere un film in concorso potresti essere davanti, senza accorgertene, al vincitore finale. Perché i festival sono strani e non sempre il film più bello (con)vince e non sempre si intuiscono le potenzialità di un’opera al primo sguardo.
Con China Heavyweight del giovane regista cino-canadese Jung Chang, è successo proprio questo. L’ho visto senza conoscere niente dell’autore e con una conoscenza ultra basilare del tema trattato: la boxe. Un collega autorevole in materia, a fine proiezione, mi ha detto “certo che in tutti i film sulla boxe si parla degli stessi sentimenti” nel senso che siamo davanti ad uno dei pochissimi sport per cui è giusto parlare di poetica: un mood che assale gli atleti dagli allenamenti col sacco in palestra fino al primo ingresso sul ring. Sarà per questa mia ingenua ignoranza che il film mi è sembrato da subito sincero e narrativamente molto forte, oltre che ben diretto. Nel film incontriamo Qi Moxiang, un ex boxeur che, nel tentativo di allenare giovani atleti nella provincia del Sichuan, scopre di avere ancora dentro il fuoco mai estinto della battaglia e decide, perciò, di tornare lui stesso sul ring per un ultimo, struggente incontro. Leggere che si tratta di un film-documentario sorprende non poco, perché in nessun momento il dubbio del “girato dal vero” si insinua nelle nostre menti stracolme di aggettivi e generi perlopiù spariti, permettendoci così di accogliere ogni sequenza come una finzione talmente bella da sembrare reale. L’ambientazione prettamente notturna permette al regista di giocare bene sui toni caldi delle luci ambrate, là dove i corpi perdono il loro aspetto naturale per diventare scintille che vibrano colpi in modo forsennato contro avversari invisibili o anche, e questa è una delle sequenze più belle, contro la macchina da presa: un’immagine classica spogliata di qualunque eroismo. Alla base dei film sulla boxe, da Rocky a Toro Scatenato fino a pellicole che la utilizzano come un mcguffin come Il bacio dell’assassino di Kubrick, sta un senso di rivalsa verso una vita per molti versi ingiusta che solo attraverso l’agonismo (o il dilettantismo nel caso del film di Chang), ovvero lo scontro a mani nude contro un tuo simile, può sublimarsi, diventando storia. In China Heavyweight la storia non la fanno né i primi né gli ultimi, né i campioni e nemmeno gli otusiders, ma una serie di personaggi che hanno dedicato la propria vita ad uno sport che per decenni, in Cina, è stato vietato. Non è giusto nemmeno parlare di storia in senso lato perché la Storia, con la maiuscola, la scrivono i vincitori e nel malinconico film di Chang i vincitori sono pochi e ben nascosti.
China Heavyweight [id., Cina/Canada 2012] di Yung Chang.
Con Qi Moxiang, He Zongli, Miao Yunfei, Zhao Zhong.
Sceneggiatura di Yung Chang, fotografia di Sun Shaoguang, musiche di Olivier Alary e Johannes Malfatti.
Documentario, durata 94 minuti.