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Incredibile maestria
Se qualcuno crede che il cinema horror sia morto, visti i deludenti risultati degli ultimi film che si dichiarano appartenenti a tale genere, dovrà ricredersi dopo la visione del film uruguayano La casa muta (2010) di Gustavo Hernández, ispirato a fatti realmente accaduti.
La storia è molto semplice e richiama tutta una serie di situazioni già viste nella cinematografia horror: un padre e una figlia vengono incaricati dal proprietario di una casa di campagna di ripulirla e sistemarla per essere venduta. In realtà il finale del film, controverso e scioccante, ribalta tutto rivelando complesse sfumature psicologiche precedentemente celate. Ma la trama è solo un pretesto. Infatti, è il filmico l’elemento più interessante oltre che la chiave del successo dell’intera opera. Merito del direttore della fotografia Pedro Luque, straordinariamente abile nell’uso dei mezzi a disposizione – in questo caso una fotocamera ad alta definizione. Dall’inizio del film fino ai titoli di coda un unico straordinario piano-sequenza restituisce la storia di Laura facendo coincidere il tempo della rappresentazione con quello reale, anche se è probabile qualche stacco camuffato nel buio della casa. Ma poco importa perché grandiosa è la maestria nell’utilizzo del mezzo: camera a mano come se si stesse realizzando un documentario – inevitabile il riferimento a The Blair Witch Project – con complessi movimenti di macchina di qualunque tipo intorno alla protagonista e continue angolazioni che restituiscono l’atmosfera a dir poco agghiacciante e soprannaturale della casa. Hernández sembra conoscere molto bene il genere con cui si è voluto cimentare, sa che per ottenere un buon film dell’orrore nel XXI secolo si deve puntare sull’ambiente, sull’atmosfera, su elementi astratti e non su entità concrete ed esplicite come serial killer, zombi, mostri o quant’altro già pesantemente usurati. E quindi, ecco una casa – fin troppo sfruttato come luogo horror per antonomasia – buia e tetra, senza elettricità, piena di stanze, scale e corridoi – rendendo perfettamente la claustrofobia del luogo – in cui accadono strani avvenimenti e si odono qua e là, in un silenzio terrificante, inquietanti scricchiolii e rumori. Sembra un labirinto, una trappola, ma in realtà rappresenta una metafora della condizione psichica della protagonista. Per gran parte del film la povera Laura ispeziona la casa con la sola luce di una lanterna in un continuo girovagare a vuoto alla ricerca di un’entità invisibile e lo spettatore vive in prima persona tale agonia come se fosse lì vicino a lei. Tuttavia, la misteriosa entità è sempre lì davanti ai nostri occhi. Il regista crea suspense, tensione e mistero senza mai deludere e senza mai cadere nella banalità. Se in apparenza La casa muta è un film semplice, una volta visto ci si rende conto dell’abilità con cui regista e direttore della fotografia hanno creato un’opera così complessa, soprattutto tecnicamente, da risultare innovativa nel panorama cinematografico mondiale. È incredibile come un piccolo film di una cinematografia minore e sconosciuta come quella uruguayana riesca nell’intento di terrorizzare e spaventare senza mai cadere nel ridicolo quando, invece, innumerevoli horror occidentali odierni falliscono.
La casa muta [La casa muda, Uruguay 2012] di Gustavo Hernández.
Con Gustavo Alonso, Florencia Colucci, Abel Tripaldi, Marìa Salazar.
Sceneggiatura di Oscar Estévez, fotografia di Pedro Luque.
Horror, durata 79 minuti.