Un inutile avanzo
A volte un produttore può fare la fortuna di un film, altre, invece, può sancirne il fallimento: questo è quello che è accaduto con Dream House, ultimo lavoro di Jim Sheridan, regista premio Oscar affermatosi nel passato con titoli quali Il mio piede sinistro e il recente Brothers.
Disconosciuta dall’intero cast, i due attori protagonisti Daniel Craig e Rachel Weisz hanno addirittura snobbato le varie premieres e il regista ha mosso una causa per togliere il proprio nome dai credits, la pellicola è stata ripensata e rimontata dai produttori rendendola priva di originalità e con un marcato sentore di cinema di serie Z. In attesa di vedere un director’s cut, scontentiamoci quindi con questo naufragio.
Il film, un mix di Shutter Island di Scorsese e derivati, narra la storia di una famiglia che si trasferisce in una cittadina del New England in una casa in cui cinque anni prima vennero uccise le due figlie e la moglie del vecchio proprietario. L’abitazione pian piano rivelerà il suo segreto con un colpo di scena che viene svelato a metà film e che forse inizialmente era stato pensato per un finale ad effetto che avrebbe reso il tutto meno monotono e ordinario. E’ complicato recensire un film come Dream House: le scelte di regia e montaggio si faticano ricondurre al nome di Sheridan, solo alcuni elementi ci ricordano in qualche modo lo stile del regista, come per esempio il suo ininterrotto studio sulla famiglia e le sue dinamiche; il resto è un pastrocchio, che vede nel montaggio fatto con “la mano sinistra” il suo ingrediente principale. Inizialmente la trama incuriosisce e la tensione funziona, soprattutto nella descrizione del personaggio di Craig, poi appaiono personaggi superficiali e poco accattivanti, come quello di Naomi Watts che vaga nel film con una faccia spaesata, e la vicenda sprofonda nella noia e l’anticipato colpo di scena riconduce tutto nella logica e nella linearità di una storia che ha un finale trascinato in fretta e furia. Sarebbe stato curioso entrare nella mente del personaggio di Craig, per dimostrare la potenzialità della mente umana, che a proprio piacere rielabora e nega un passato infelice, nelle vere mani di Sheridan questo sarebbe stato il punto forte del film.
Non un horror, non un thriller, ma uno scarto di magazzino del 2011 che arriva a noi in un’estate afosa, anche per le mancate uscite cinematografiche, e che in USA ha registrato uno dei maggiori flop degli ultimi anni. Rimarranno oscure le vere dinamiche produttive di Dream House, e speriamo che anche i pochi spettatori pallidi nostrani non spendano inutili soldi per guardarlo.