Il vuoto del male
Che le pellicole di Jaume Balaguerò abbiano sempre avuto un’aspirazione autoriale è cosa abbastanza nota, ma è anche vero che quando ha lasciato da parte i formalismi, concentrandosi maggiormente sul genere di riferimento senza impreziosirlo, è riuscito ad ottenere i risultati migliori, come nel dittico [REC] in coabitazione con Paco Plaza.
In Bed Time il regista spagnolo prosegue quella che potrebbe essere una personale trilogia incentrata tutta sulla location condominiale, anche se senza un vero ruolo identitario autoriale complesso, ribaltando il punto di vista che avevamo trovato nelle pellicole precedenti. Infatti se nei due [REC] il fulcro era lo svelamento di un male inaspettato, che si faceva documento isterico di un altrove mostruoso, in Bed Time fin dall’incipit è svelata la condizione di alterità maniacale interiorizzata e razionalizzata del protagonista. La situazione di solitudine e di un vivere condizionato dal male perpetuato, esplicato nei primi minuti di pellicola, non fanno altro che cristalizzare il personaggio nella propria condizione togliedogli ogni possibilità di crescita. Il cambio di prospettiva che mette al centro della vicenda l’antagonista sembra avere come unico scopo quello di soddisfare un desiderio sadico di distruzione delle proprie vittime, più che di un approfondimento psicologico, e tutta la narrazione sembra appunto obbedire a questa regola. La progressiva gravità dei disturbi cui è vittima la ragazza serve solo a mostrare una messa in scena fin troppo impreziosita evidenziando una banalità di fondo nel protagonista, distributore d’infelicità nei confronti dei condomini del posto presso cui lavora.
Non esiste, alla fine, alcuna spiegazione a ciò che il protagonista commette, ma al contrario tutto ciò è volutamente lasciato in sospeso, la malvagità si manifesta come semplice reazione alla felicità altrui, e questo in parte spiega appunto il mancato approfondimento del personaggio portando al contempo a domandarsi se era proprio necessario un altro ritratto sull’insensatezza del male. Bed Time sembra essere solo un pretesto per mettere in scena una forma registica compiaciuta nascondendo il tutto sotto l’ovvietà del male ripropostoci senza originalità. Anche l’aspetto più affascinante, il sonno come momento di stasi nel quale il male agisce a nostra insaputa fin dentro noi stessi palesandosi come limbo temporale data la sua infrangibilità, viene appena abbozzato in un film fin troppo preso da se stesso per avere veramente qualcosa da dire.