Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Il sogno d’amore inedito di Poggioli
Ogni tanto il cinema ritrova se stesso. Operazioni come il remake e il reboot, ormai presenti anche nelle programmazioni parrocchiali, soprattutto negli ultimi dieci anni hanno avuto il grande (de)merito di aver spacciato come riscoperta del passato la sua banale trasfigurazione in un oggetto commercialmente appetibile.
Alla luce di questa evidenza risulta doppiamente importante l’operazione promossa dalla Cineteca del Friuli che, nella persona di Alice Rispoli, ha permesso che venissero restaurati 10 rulli di negativi senza sonoro appartenenti all’ultimo film di Ferdinando Maria Poggioli, Sogno d’amore, iniziato nei primi mesi del 1943 e mai completato. Un percorso conclusosi martedì 25 Luglio all’interno del Premio Amidei con la proiezione in anteprima mondiale dei circa 30 minuti di girato non montato, che mostrano scene riconducibili in modo inconfutabile a quella estetica calligrafica che Poggioli aveva inaugurato a cavallo fra gli anni ’30 e ’40 assieme a Soldati, Castellani, Chiarini e, in modo diverso, anche a Lattuada. Un film che si credeva irrimediabilmente perduto, rubato dalla bizzosa attrice Myriam Petacci, sorella della più celebre Claretta, che sotto lo pseudonimo di Miria di San Servolo aveva cercato invano di varcare la frontiera con la pellicola sotto braccio.
La storia riparte poi nel 1999 quando il documentarista Sandro Gastinelli ritrova i negativi a Boves, in provincia di Cuneo, e contatta immediatamente sia il Comune che la Cineteca regionale, avviando così il lavoro di restauro.
Della sceneggiatura, che all’epoca fu curata proprio da Sergio Amidei, è rimasto ben poco, se non il ricordo dell’ipotesto di riferimento, la commedia teatrale Mecta Jubvi di Alexander Kosorotov, e della sua prima trasposizione sul grande schermo ad opera di Gennaro Righelli nel 1922.
Il cinema ritrova se stesso, ho scritto in apertura. Sono stati anni molto proficui dal punto di vista del ritrovamento di pellicole cadute nell’oblio, basti pensare al documentario del 1914 realizzato (pare) da Gioacchino Forzano su e con Giacomo Puccini, recuperato dal regista Paolo Benvenuti nel 2008, o i 400 fotogrammi di Pioggia d’estate di Mario Monicelli presentati lo scorso anno a Viareggio EuropaCinema, o alle tre bobine di The white shadows attribuite a Hitchcock e presentate alle “giornate” di Pordenone sempre nel 2011.
In questi momenti privi di trama, di effetti e di marketing mediatico, ci riscopriamo semplici spettatori di un evento che è la visione stessa, l’immagine vergine proiettata per stupire. In questi momenti il cinema ritrova il suo riflesso perduto, senza il bisogno di doversi truccare per mascherare le sue cicatrici.