Mainstream sgangherato e ammiccante
Una vasca completamente bianca. Una donna bellissima che vi si immerge per purificare la sua anima nera dopo essersi tolta ogni indumento e gioiello regale. Annega nel colore finché il bianco stesso diventa l’oggetto della visione, confondendo i tratti somatici e riducendo tutto ad un’unica macchia cromatica.
Entrate al cinema, in ritardo, su questa scena e pensate “siamo ancora agli spot pubblicitari di Dior” e invece siete nel bel mezzo del film Biancaneve e il cacciatore, diretto dall’esordiente Rupert Sanders.
L’angelica presenza che appare sullo schermo altri non è che Charlize Theron, calata con mestiere nei panni della perfida regina Ravenna, che di lì a poco lancerà il fratello Finn (Sam Spruell) all’inseguimento della giovane ma poco espressiva Biancaneve (Kirsten Stewart). A mettergli i bastoni fra le ruote ci penseranno un cacciatore ubriacone (Chris Hemsworth) che molti di voi ricorderanno nei panni di un dio del tuono, un principe arciere da sempre innamorato di Biancaneve e sette nani guidati dalle epifanie ancestrali di Bob Hoskins.
Non si capisce che tipo di operazione sia quella messa in atto da Sanders. Sicuramente la cura quasi maniacale dell’immagine, intesa sia come fotografia che come messa in quadro, risulta giustificata e funzionale all’esasperazione del magnetismo dei colori, sempre ridotti a fluidi dalla densità variabile.
Il bagno di latte sopra citato e la colata di petrolio dalla quale la regina riemerge in una delle scene finali rappresentano i limiti dentro cui opera l’estetica post-moderna e patinata di Sanders, che ricorda molto le soluzioni stilistiche adottate da tante serie televisive contemporanee, su tutte quelle prodotte dalla HBO. Il testo dei fratelli Grimm viene così scorporato delle sue componenti essenziali, pratica ormai consolidata dei vari remake, reboot, prequel e quant’altro, per essere nuovamente riempito con cliché narrativi tipici di un mediocre spaghetti western e suggestioni fantasy a metà fra Alice in wonderland di Tim Burton e Le cronache di Narnia.
Biancaneve e il cacciatore diventa così un film scomponibile nelle sue componenti archetipiche, “sgangherato” nell’accezione utilizzata da Umberto Eco per giustificare il successo di Casablanca, cioè un film che “riesce a scavalcare il suo principale difetto, ossia la mancanza di originalità, il suo agglomerato di stereotipi e cliché, proprio ostentandolo”. Ne deriva non un’opera unica, ma un’antologia di opere basata sull’intertestualità cinematografica che alla fine può essere paragonato al film di Curtiz solo per speculazione teorica. Nella pratica Casablanca è un cult, il film di Sanders una goccia nel mare.