Il Cinema Ritrovato, Bologna, 23-30 giugno 2012
De humanae naturae
L’anno scorso era Maurice Tourneur. Quest’anno il regista “ritrovato” – grazie a un’ampia retrospettiva a lui dedicata – è stato Jean Grémillon, autore di grande talento, purtroppo mai affermatosi tra i grandi nomi del cinema francese.
Titolista, didascalista, montatore, compositore e sceneggiatore, Grémillon divide la sua trentennale carriera – su una vita di appena cinquantasette anni, gli ultimi dei quali trascorsi alla presidenza della Cinémathèque française – tra documentari e film di finzione, con grande padronanza del linguaggio e della tecnica cinematografica, in uno stile basato sulla rielaborazione e l’adattamento dei canoni preesistenti. L’influenza avanguardista, il montaggio alternato, il flashback, la profondità di campo a sottolineare scene composte su più piani, insolite inquadrature, punti di vista e movimenti di macchina caratterizzano l’opera dell’autore, decisamente rivoluzionaria e forse per questo non pienamente compresa a suo tempo. Nel documentario il regista dimostra un forte senso del paesaggio, della realtà sociale e dei lavori comuni, rappresentati con perizia quasi antropologica in Chartres, Essais au bord de la mer, Casting Ella Maillart e profonda coscienza storica e civile in Le 6 juin à l’aube. Tali elementi si fanno costanti anche del suo cinema narrativo, incentrato su una rappresentazione realista della vita nella provincia francese tra le due guerre, riflettendo, con la stessa finezza di Renoir, sulla natura del ceto popolare come di quello borghese, cercando di metterne in luce non tanto le evidenti differenze, quanto piuttosto i tratti comuni che li rendono parti complementari della stessa società. Grémillon supera dunque le differenze di classe, in favore di uno sguardo più ampio su un’umanità complessa e variegata di cui critica gli atteggiamenti e i costumi, pur nel rispetto dei soggetti rappresentati. Che siano colpevoli o vittime del proprio destino, i protagonisti – tutti maschili – delle pellicole sono individui soli, le cui passioni e legami travolgono le loro vite apparentemente equilibrate, facendo di essi esempi significativi di un disagio comune, celato da un ordine civile solo apparente. Quello che offre il regista francese è un ritratto maschile insolito, che cozza con quello virile più comune. I suoi sono uomini fragili, le loro certezze sono messe sempre in discussione o da un passato irrisolto che ritorna (Maldone, Gardiens de phare, Lo strano signor Vittorio) o da un presente spesso incarnato da una donna, che viene a mettere in discussione e in crisi un legame di coppia, amici o amanti che siano (Gueule d’amour, Tempesta, Lumière d’été e Zampe bianche). Ed è proprio la coppia al centro di questi film: rappresentata nella contrapposizione tra la vita privata e quella pubblica, diventa il fulcro di una medesima sorte e di un’infelicità crescente che porta le parti in causa ad allontanarsi una dall’altra, a intraprendere dunque percorsi diversi e solitari. Raramente c’è salvezza o redenzione per loro, ma come ne Il cielo è vostro, la (ri)scoperta di una passione comune può cambiare le sorti, ribaltando le situazioni e facendo ritrovare ai due il piacere di una relazione basata sulla condivisione e sul rispetto reciproco della propria e altrui persona, fondamenta questa di un’ideale vita comunitaria. È proprio in questo film, uno dei più famosi pur se non dei migliori di Grémillon, che si racchiude in maniera evidente la sua visione di società: un spazio civile dove ognuno possa affermare la propria identità, arricchendo con essa il contesto collettivo, a scapito di un isolante individualismo.