Con un pizzico di retorica, a molte riviste di cinema, compresa Mediacritica, piace affermare che tutto si può recensire. Ed è quello che tentiamo di fare, occupandoci soprattutto di film – del presente e del passato – ma anche di serie tv, festival, animazione, new media e altro ancora.
Il rovescio della medaglia, per tutti e non solo per noi, è che siamo nell’epoca del giudizio globale, per cui nulla sfugge a una valutazione in stellette o pallini, dai ristoranti agli hotel, dai viaggi organizzati alle spiagge, dai negozi alle università. Il problema è il solito: chi emette il giudizio? L’epoca del web ha ovviamente esaltato la recensione fai-da-te, quella generata dall’utente, per cui non si può mai sapere se chi stronca un ristorante su Tripadvisor, per fare un esempio, è un buon intenditore di cucina o semplicemente un mangiatore del sabato sera che non sa distinguere una cottura da un’altra e magari scrive che “il vino andava giù male”. Anche al cinema tocca lo stesso destino: c’è chi spara giudizi a raffica e chi scrive in maniera pertinente e informata. Tocca alla testata dimostrare la propria qualità e farsi apprezzare per competenza: non ci sono bollini di riconoscimento, solo la bontà del lavoro.
Detto questo, bisogna chiedersi: si può recensire proprio tutto? Molti sanno, per esempio, che – basta cercare su Google – esistono persino le recensioni delle prostitute da parte dei clienti. Sono forum noti, aperti, frequentati anche dai non iscritti, con un furore classificatorio impressionante, dove si danno voti in numeri alla ragazza di turno, e si elencano le “specialità della casa” (esattamente come i ristoranti) con sigle ipocrite che indicano i servizi offerti dalla singola signora: cim, cob, e altri acronimi il cui significato lasciamo scoprire al lettore.
Ora, lungi da ogni moralismo – visto che parliamo in molti casi di ragazze che ricevono in casa, che pubblicano sul web la loro pagina di riconoscimento, che inseriscono esse stesse la percentuale di successi e di commenti positivi accanto alla foto – non ce la prendiamo con la prostituzione, con clienti, professioniste o altro ancora. Pensiamo semplicemente che, se tutto si recensisce, si finisce prima o poi col recensire come “valore d’uso” qualsiasi cosa, e persino il corpo diventa puro contenitore di stellette, palline e voti numerici da uno a dieci. La deriva ultima del recensore fai-da-te (classificare le prostitute e fornire un indice di gradimento e godimento per altri acquirenti) è forse la faccia oscura del nostro lavoro, quella che ci spinge a ricordare sempre che la cultura umanistica non prevede l’idea di giudizio come consiglio merceologico e finalizzato all’acquisto, e che l’amore per le forme espressive e artistiche ambisce a un discorso alto e altro rispetto al comprare qualcosa, corpi compresi.