Quel che resta di Cuba
È possibile cogliere l’anima di Cuba? È possibile visualizzarne l’essenza, raccontando per immagini lo spirito e le contraddizioni di un mondo così complesso e seducente? La risposta che arriva dal film 7 Days in Havana è di quelle perentorie, che non danno adito a dubbi: no.
Finanziato dal marchio Havana Club International, 7 Days aspira all’affresco ebbro di vita e di vino, che decostruisca gli stereotipi facendoci aprire gli occhi sulla realtà nascosta delle cose. L’intento è nobile, così come l’idea di affidare i giorni della settimana a sette diversi registi. Ma quella che avrebbe potuto essere la qualità maggiore del progetto diventa il difetto fondante della pellicola: l’identità ibrida si tramuta in frankenstein sconnesso e privo di amalgama. La durata di 15/20 minuti ad episodio ammazza le potenzialità di quasi tutti i racconti, in particolar modo del lunedì di Benicio del Toro (oltretutto semi-esordiente alla regia). Alla storia del giovane attore yankee ammaliato dal trans Angelito manca infatti il tempo necessario per respirare e prendere forma. Non solo: il susseguirsi dei frammenti concede solo l’assimilazione degli elementi più superficiali, legati ai cliché che si vorrebbero spezzare; e tra colorate auto d’epoca che cadono a pezzi, bodeguite fumose, rum e musica, di Cuba restano solo gli avanzi. Ma poi arriva il giovedì di Elia Suleiman, che scalfisce finalmente la patina di prevedibilità: il suo aneddoto (Diary of a Beginner) unisce i destini del popolo cubano e di quello palestinese, scoprendo nello sguardo attonito del filmmaker (s)perduto nelle grandi stanze d’albergo l’impotenza di chi è tagliato fuori, in attesa di qualcosa che non arriverà mai. E mentre il venerdì “rituale” di Gaspar Noé cerca lo stupore scadendo nel futile vezzo autoriale, la domenica di Laurent Cantet si fa perlomeno notare per la sua stramba veridicità. Perché la vicenda dell’anziana che smobilita l’intera palazzina in cui abita per la costruzione di un santuario nel salotto di casa – d’altronde così le ha ordinato la Vergine Maria – coglie la (con)fusione religiosa in cui è immersa Cuba, dove paiono convivere amabilmente le magie del paganesimo e la fervente tradizione cattolica. Tuttavia, per quanto ci si sforzi di guardare a 7 Days in Havana come ad un lavoro collettivo curioso e stuzzicante, non si può negare che il risultato finale sia quasi del tutto fallimentare. Tanto vale a questo punto (ri)vedersi il documentario di Wim Wenders sui Buena Vista Social Club, capace di centrare più del previsto il cuore malinconico di un Paese che vive ostinatamente nel passato.
7 Days in Havana [7 días en La Habana, Spagna/Francia 2012] REGIA Benicio del Toro, Pablo Trapero, Julio Médem, Elia Suleiman, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabío, Laurent Cantet.
CAST Josh Hutcherson, Alexander Abreu, Daniel Brühl, Emir Kusturica.
SCENEGGIATURA Leonardo Padura Fuentes, Lucía López Coll. FOTOGRAFIA Daniel Aranyó, Diego Dussuel. MUSICHE Xavi Turull.
Commedia/Drammatico, durata 129 minuti.