Una sorta di guerra
Il cinema americano ritorna tra la gente e si appresta sempre di più a regalarci film che, in qualche modo, analizzano i cambiamenti e le sventure della società di oggi.
In attesa di vedere, in arrivo direttamente da Cannes, il nuovo Croneneberg annunciato come il primo film sul nuovo millennio, J.C. Chandor, al suo esordio dietro la macchina da presa, con Margin Call ragiona sulla crisi finanziaria che dal 2008 sta soffocando le nostre vite.
Ambientato interamente all’interno degli uffici di una delle banche di investimento di Wall Street, in un’atmosfera claustrofobica ma mai noiosa, Margin Call “rivela” la notte di chi consapevolmente muove l’economia mondiale e cerca non di salvare il mondo dal tracollo ma di proteggere le proprie chiappe. Un gioco al massacro che, nelle poche ore che separano dall’apertura delle borse e quindi dalla coscienza mondiale di quello che accadrà, si trasforma man mano in una guerra con vittime e carnefici ben definiti. C’è chi perde il lavoro, chi fa la spia, chi studia le tattiche, chi muove i soldati e chi alla fine è in guerra inconsapevolmente e non sa se ne uscirà vivo. Supportato da una sceneggiatura, nominata agli ultimi Oscar, perfetta per ritmo e battute brillanti, Chandor scandisce il tutto attraverso un finto thriller dove la lotta contro il tempo per salvare l’azienda dalla bancarotta è un pretesto per uno sguardo d’insieme sulla struttura e i suoi protagonisti. In alcuni punti si fatica a stare dietro a termini prettamente economici, ma è la morale di fondo ad attirare l’attenzione dello spettatore: i manager e i vertici dell’azienda se ne fregano del comune mortale e pensano solo al loro bene, mentre un semplice impiegato, un sempre più notevole Zachary Quinto, scopre la dura realtà dei fatti, vivendo un incubo che lo porterà ad una promozione. Ma è agghiacciante sapere che sia lui a scoprire l’inghippo e non i suoi capi. Manca un vero protagonista in Margin Call, ma tutti gli interpreti regalano delle ottime performance, su tutti un Kevin Spacey buonista ma misurato e il cattivo di turno Jeremy Irons indifferente e glaciale con una faccia da schiaffi che non si dimentica. Il novellino Chandor riesce così a sopportare un film corale con la maestria di un veterano e cerca di spiegare la crisi “come se lo dovesse far capire ad un bambino o ad un Golden Retriever”. Margin Call è un Wall Street aggiornato e meno patinato: ma se Oliver Stone è più interessato a raccontare un certo mondo fondatore del sogno americano Chandor invece ci espone una realtà quasi documentarista e quindi più vera. Sarebbe interessante conoscere le dinamiche che costituiscono anche il nostro sistema economico, fatto ancora di movimenti e personaggi oscuri che il nostro cinema fatica a rivelare: anche su questi gli americani ci hanno superato.