Il film che inventò i videogiochi
Per dare un’idea del culto che I tre dell’operazione drago ha raggiunto, del posto che ha nella storia, basti pensare che Warner Bros l’ha inserito nella dozzina di film da fare uscire in sala restaurati per celebrare il centenario dello studio, l’unico degli anni ‘70 assieme a un capolavoro acclarato come L’esorcista. A 50 anni dall’uscita del film e a 50 dalla morte del suo protagonista Bruce Lee, si può fare un punto su quello status di culto.
Il film, diretto da Robert Clouse e scritto da Michael Allin, racconta di Mr. Lee (Bruce Lee), un esperto insegnante di arti marziali che viene reclutato dal servizio segreto inglese per smantellare l’impero criminale di Mr. Han (Shih Kien), ex-monaco shaolin passato al crimine.
Per farlo si iscriverà al torneo che Han ha organizzato nella sua protettissima isola, dove troverà l’alleanza di due ex-commilitoni statunitensi (John Saxon e Jim Kelly). Co-produzione tra USA e Hong Kong, primo film di Lee pensato per sfondare in Occidente e farne una star globale (con successo: 400 milioni di dollari a fronte di un budget di meno di un milione), è il film che ha sdoganato nel mondo non solo il talento del suo principale interprete, ma soprattutto reso i film di arti marziali un fenomeno di pazzesca profondità ovunque nel mondo. Per raggiungere questo obiettivo, i produttori capeggiati da Raymond Chow, architettarono una fusione tra due elementi perfettamente miscelabili: la struttura sportiva del torneo di combattimento e l’atmosfera bondiana dell’isola, del tempio segreto, del cattivo che domina da una fortezza inespugnabile. È un film a suo modo pionieristico, che fondendo Oriente e Occidente, crea una formula che darà vita al modello per decine di altri film e addirittura videogiochi, che ne muteranno la struttura a livelli, elementi su cui in quel periodo stava vertendo la riflessione artistica e spirituale di Lee e che avrebbero dovuto raggiungere l’apice con Game of Death, film che Lee però non riuscì a finire.
Anche la morte un mese prima della premiere, giocò a favore del successo del film, ma I tre dell’operazione drago riesce a esaltare la magistralità di Lee per contrasto: il film non è un one man show, anzi cerca di aprirsi a una sorta di coralità, ad altri talenti marziali, ma Clouse non è un regista in grado di esaltare questa varietà di sguardi e stili, è grezzo e spiccio. Quando però è in scena, Lee fa l’effetto di un solista capitato dentro un’orchestra non alla sua all’altezza, più bravo anche del direttore. E il film sembra subire sterzate teoriche inspiegabili, basti pensare all’uso dei ralenti durante i combattimenti del protagonista: esaltano il gesto dell’atleta, ne scompongono il movimento come ci fosse Muybridge dietro la macchina da presa, restano sul suo volto, sui suoi muscoli tesi rendendone la spiritualità. Dal punto di vista del semplice spettacolo, il film è forse un passo indietro rispetto ai suoi epigoni cinesi, ma fa esplodere la natura profonda dell’arte di Lee. Ecco perché il pubblico del mondo rimase così colpito: I tre dell’operazione drago è la fotografia di un mito prima della sua definitiva ascensione.