La società dello spettacolo
Helen Bartlett è un’aspirante scrittrice e bugiarda patologica. Suo marito, Kenneth, è invece un onesto avvocato, scrupoloso ma di scarso successo. Quando Helen rimane coinvolta in un caso d’omicidio decide di confessare il crimine pur non avendolo commesso, per poter dare una svolta alla carriera del marito con una brillante difesa.
Straordinario prodotto autoctono degli anni Trenta, la screwball comedy ha avuto un impatto dirompente nell’irripetibile panorama della commedia hollywoodiana dell’epoca, attingendo dal cinema muto la follia e l’anarchia ritmica dello slapstick per combinarla con dialoghi incalzanti e brillanti figli del neonato sonoro, in una combinazione vorticosa e inafferrabile.
Di fianco ai capolavori maggiormente ricordati si possono rintracciare molti altri film che hanno compiuto incursioni nel sottogenere, diretti da registi che oggi sembrano pressoché dimenticati. È il caso di Wesley Ruggles, che dopo aver curato la regia del primo western vincitore dell’Oscar al miglior film, I pionieri del West, e aver diretto Mae West nel suo film di maggior successo, Non sono un angelo, nel 1937 realizzò La moglie bugiarda, una folle commedia tratta da Mon crime, pièce scritta da Louis Verneuil e Georges Berr, con protagonisti Carole Lombard e Fred MacMurray, coppia giunta al quarto film in pochi anni e ormai collaudata. Il ribaltamento che spesso contraddistingue la struttura della commedia classica non riguarda in questo caso solo il ruolo dei sessi o l’ordine sociale, bensì soprattutto la menzogna e la verità, che nell’arco del film si rincorrono e si intrecciano sino a perdere la linea di demarcazione. Helen mente spudoratamente e oltre a farlo, per tentare di porre rimedio all’insuccesso lavorativo del marito, sembra trarne divertimento e piacere, prendendo come un gioco l’interrogatorio dell’ispettore di polizia e trasferendo la propria fervida immaginazione nella scrittura di romanzi. Ogni volta che inizia a pensare a una nuova bugia, la donna preme con la lingua l’interno della guancia, in un ironico gesto che diventa caratterizzante e che gioca con lo spettatore. Di menzogna in menzogna l’ordine si sovverte in un irresistibile caos, rivelando come persino la legge e la giustizia siano in balìa della finzione.
Ecco così che, in una delle sequenze più divertenti, l’aula di tribunale si trasforma in un palcoscenico, dove Kenneth ed Helen mettono in scena la loro rappresentazione di fronte al pubblico. Attraverso i livelli di finzione e il confine tra verità e falsità, La moglie bugiarda riflette inevitabilmente sulla natura del teatro e del cinema in una società in cui regna la messinscena e in cui non avviene Nulla sul serio, per citare il titolo italiano di un’altra commedia dal tema simile, uscita nello stesso anno e sempre con Carol Lombard come protagonista. In un crescendo rossiniano di bugie e imprevisti dal ritmo incalzante, La moglie bugiarda è impreziosito da comprimari come Una Merkel e soprattutto John Barrymore, che quando appare ruba la scena in siparietti con il barista e con Lombard. Il suo è un personaggio che anticipa in tutto e per tutto quello della Volpe nel Pinocchio Disney, in una variante che sembra essere uscita dai romanzi di Lewis Carroll. Accompagnato da un leitmotiv, si presenta come un criminologo scaltro, ingannevole e completamente folle, che si aggira tra bar e tribunali gonfiando e sgonfiando piccoli palloncini come metafora del destino umano.
Del resto, Orson Welles, in un testo inedito della fine degli anni Trenta, scrisse proprio che la figura stessa dell’attore – affascinante, romantico, irresponsabile, sporco – è paragonabile al personaggio della Volpe in Pinocchio e citò John Barrymore come uno degli ultimi attori di questo tipo. Il suo ruolo in La moglie bugiarda, quindi, da un lato si rivela un compendio dell’evoluzione conclusiva della sua carriera e della natura primordiale dell’attore, dall’altra assorbe la follia e la finzione insite nel racconto, riflettendo e ampliando l’aspetto metalinguistico del film.
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