Smarrirsi e proseguire ancora
Presentato al Tribeca Film Festival e poi allo Sheffield Doc Fest, il debutto di Maria Fredriksson, The Gullspång Miracle, è uno di quei lavori che ti lasciano col dubbio di essere stato perculato, ma in un modo divertente e a tratti inquietante.
May, in visita in Svezia alla sorella Kari, dopo una giornata passata insieme, decide di comprare un piccolo appartamento a Gullspång. La venditrice, Olaug, appare alle due quasi come un fantasma perché identica alla loro sorella maggiore, Lita, suicidatasi nel 1988.
Un incontro stile Carramba che sorpresa, ma dai toni soft, qualcosa di straordinario tanto da ricevere una copertura mediatica, per le due un segno divino. Eppure, dietro i sorrisi di una “famiglia” che si ritrova dopo quarant’anni e a più di 1000 km di distanza, c’è una ferita aperta in ognuna di loro. Abbiamo il senso di vuoto e solitudine di Olaug che, grazie al cugino, aveva scoperto anni prima di essere stata data in adozione e di avere una gemella; e poi la tragedia di un suicidio in una famiglia cattolica come in quella di Kari e May. Attraverso i filmini di famiglia vediamo, così, Lita che pare caracollare dietro l’ombra di Laura Palmer: un personaggio tragico e spaesato che oltre l’altruismo, i figli, e le gite in famiglia, reprime l’indicibile, il malessere che la opprime. Mentre i continenti sommersi del passato riemergono, portando a ipotesi diverse dal suicidio per Lita, la famiglia riunita fa trapelare le prime insoddisfazioni e discrepanze: da una parte i fratelli e le sorelle di Lita cresciuti nella provincia e molto credenti, dall’altra l’arroganza di Olaug con la sua cultura e una carriera nell’esercito. Quel primo test del DNA fatto nella febbricitante gioia dei primi momenti lascia spazio a inquietudini, nervi tesi esacerbati dal mistero che avvolge ancora, dopo quasi 40 anni la morte di Lita. I figli di lei non vogliono sapere la verità, non vogliono affrontare e far riesaminare il lavoro pressapochista che fece la polizia all’epoca, mentre Olaug si sente in dovere di dare una degna conclusione a quella gemella scomparsa, benché un altro test del DNA stravolga ulteriormente le dinamiche famigliari.
Dove sta la verità in The Gullspång Miracle? Perché Olaug afferma, in un messaggio in segreteria lasciato a Mary, che qualcuno sta mentendo? Perché è così importante che esista un legame di sangue tra le parti in causa? Non basta la comunione tra spiriti feriti per darsi pace? Fede e ragione, così si spacca in due la famiglia: tra chi vuole e ha bisogno di credere e chi si affida a uno spirito critico indomabile. Alla fine di The Gullspång Miracle aleggia l’impressione che, forse, è stata tutta una presa in giro: dei protagonisti? Della regista? Non si sa, ma non è neanche importante saperlo, d’altronde come disse qualcuno: “La vita non è un fatto di conclusioni”, e la domanda rimasta aperta riposa sulla foto di Lita che la camera ci mostra insistentemente come memento mori: “Ogni famiglia è infelice a modo suo”.