Crepuscolo di un comico fragile
Nel 1989 Francesco Nuti ha solo 34 anni ed è già uno dei protagonisti assoluti della nuova commedia italiana. Superata la fase iniziale con i compagni Giancattivi e Maurizio Ponzi, il malinconico toscano dalla fossetta sul mento decide di fare da sé diventando regista.
Dopo il dittico umoristico-sentimentale di Tutta colpa del paradiso (1985) e Stregati (1986), Nuti fa ritorno alla comicità surreale degli esordi, mescolando alla componente più marcatamente slapstick delle riflessioni serie (se non proprio drammatiche) sui suoi rapporti con le donne.
Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988) resta sicuramente il migliore di questa nuova fase, il più divertente, anarchico e compiuto a cui segue immediatamente (quasi a volerne bissare il successo) Willy Signori e vengo da lontano (1989), il suo film-limite che lo ha poi fatto completamente naufragare tra i marosi di una autorialità egoica e svuotata di qualsiasi riflessione autentica sull’arte e sul mondo. Willy Signori e vengo da lontano si apre come una comica del muto, costellato di gag fisiche sprofondate in una Milano notturna che ripropone quella dimensione lunare degli esordi. L’autoradio che si ribella e la pompa di benzina impazzita sono due gag che mescolate alle arie liriche della Butterfly e di Pagliacci e al conseguente incidente d’auto, sfumano immediatamente nel tragicomico facendo pensare all’umorismo rarefatto e sospeso di autori come Kaurismaki e Suleiman. Il resto del film procede verso uno sfaldamento continuo dell’effetto comico nel proprio capovolgimento patetico-sentimentale, come i duetti tra Nuti e il fratello disabile con il mal d’Africa (Alessandro Haber) e il rapporto che si instaura tra il protagonista e una ragazza incinta e ribelle che ha perso il compagno nell’incidente iniziale (Isabella Ferrari). Il problema di fondo di questo ultimo Nuti è proprio una certa meccanicità e reiterazione delle gag, che diventano spesso tormentoni fini a sé stessi (il pitone, il cadavere all’obitorio, il lavavetri folle) senza funzionare da sostegno all’impianto narrativo della storia. Le trovate burlesche vengono ripetute con una certa ostinazione, fino all’estrema (cons)unzione della gag, creando una glaciazione della risata, un raffreddamento cardiaco dei battiti umoristici che si spengono nel pianto. Raffreddando il motore comico, si scopre la mollezza dei sentimenti che – se pur slavati e tirati via attraverso facili rimbalzi soapoperistici – restano l’unico tassello esistente di una profonda tristezza esistenziale, che forse nemmeno i Verdone e i Troisi hanno saputo raggiungere.
Willy Signori e vengo da lontano è l’autentico crepuscolo comico di Francesco Nuti, con un finale sospeso e amaramente irrisolto, quel palloncino che esplode improvvisamente forse è il sintomo di un’ultima possibile clowneria, mentre il nostro buffo dalla fossetta guarda un bimbo appena nato come apparente compimento dei suoi burrascosi rapporti con le donne. Ma l’happy end è in realtà fasullo, dato che il con il successivo Donne con le gonne (1991) darà sfogo a una misoginia grottesca con qualche debole eco alla Ferreri (richiamando specialmente La cagna), avviandosi verso una fase autodistruttiva e narcisistica che raggiungerà la catastrofe completa con Occhiopinocchio (1994).