Il 26 luglio del 2016 il ventiseienne giapponese Satoshi Uematsu si introduce in una casa di riposo per anziani e ne uccide diciannove. L’intento dell’omicida, come da lui dichiarato, è quello di alleviare il peso economico che gli anziani esercitano sulle generazioni più giovani.
Parte da questo drammatico fatto di cronaca la regista Chie Hayakawa per costruire il suo lungometraggio d’esordio, Plan 75, sviluppato da un suo cortometraggio contenuto nell’opera corale Ten Years Japan.
Il “Piano 75” che dà il titolo al film (Menzione speciale alla Caméra d’or a Cannes 2022) prevede, in un futuro Giappone, la possibilità per le persone al di sopra dei 75 anni di accedere a un programma di eutanasia gratuita, grazie al quale si possono contrastare i disagi portati dalla vecchiaia tanto alle persone quanto allo Stato. In questo contesto si svolge la quotidianità dell’anziana signora Michi, la quale dopo innumerevoli tentativi di rendersi ancora utile alla comunità, decide di arrendersi a tale programma. L’intento della regista è dunque chiaro sin da subito: esprimere attraverso un contesto distopico – come sempre riflesso del presente – la rabbia per un cambiamento ideologico della sua nazione, che addossa sempre di più agli anziani i propri problemi sociali ed economici. Il Giappone, come noto, vanta la più alta percentuale al mondo di anziani in rapporto al totale della popolazione. Nei loro confronti ha sempre portato un profondo rispetto, ma le cose sembrano ora in progressivo peggioramento, complice secondo la regista un concetto di utilitarismo che schiaccia i valori umani. Con Plan 75 la Hayakawa si concentra allora in particolare sulla descrizione della vecchiaia come un male a cui, se possibile, gli stessi anziani rinuncerebbero volentieri. La protagonista Michi, dotata di quell’etica del lavoro tipica dei giapponesi, ci prova passando da un impiego a un altro. È disposta a tutto pur di potersi sentire ancora utile alla comunità, la quale al contrario sembra però non aver più bisogno di lei.
Si assiste così alla rappresentazione di questo stato di abbandono, con la regista che sceglie di diluire i tempi della narrazione facendo avvertire tutto lo straziante peso del tempo che passa. Le sue inquadrature statiche e prolungate sull’anziana Michi, in cerca di qualcosa da fare o intenta a rimirarsi le mani rovinate dalla vecchiaia, sono quantomai eloquenti a riguardo e da esse si sprigiona tutto ciò che Hayakawa vuole comunicare riguardo il modo in cui l’idea malsana che si ha della terza età sia stata inculcata anche agli stessi anziani. Il suo è dunque un film fortemente drammatico, con una rabbia di fondo che non impedisce tuttavia l’emergere di un barlume di speranza. Un’ opera distopica, come tante in questo filone, che vuole essere un monito per il presente, un modo per chiedere un’inversione di rotta del percorso intrapreso, finché si è in tempo. In Plan 75 la regista sceglie infatti di inserire anche tre personaggi giovani che scontrandosi personalmente con il piano governativo ne rimangono inorriditi. Se attraverso lo sguardo di Michi si viene portati a fare esperienza delle difficoltà date dalla terza età, i con questi tre personaggi si assiste in modo più diretto alla brutalità della scelta intrapresa dal governo giapponese, a ciò che realmente si nasconde dietro di essa. Non mancano talvolta elementi dissonanti all’interno della storia, che trova però nel suo minimalismo il mezzo più efficace per raccontare tutto ciò e ribadire allo stesso tempo la necessità di difendere l’umanità, specialmente nel momento in cui si rivela più fragile.