I colori di una (de)generazione
Poche cose scardinano meglio ordine e morale costituita di quelle forme di racconto e uso delle immagini che hanno come presupposto la risata e che per scatenarla partono dalla realtà, dall’osservazione e dalla deformazione, perché così facendo mettono in questione quell’ordine e quella morale. Per cui è facile capire il perché, nel 1966, i dirigenti del Partito Comunista Cecoslovacco bandirono Vera Chytilová per dieci anni dopo aver vietato il suo film più famoso, Le margheritine.
Quel film, che torna nelle nostre sale dopo il restauro, è divenuto il simbolo della Nová vlna, ossia la nuova onda del cinema cecoslovacco degli anni ’60. Vede protagoniste due ragazze (Jitka Cerhová e Ivana Karbanová) che cercano di incarnare tutto ciò che la società della loro epoca ritiene come depravazione: dal rimorchiare maturi benestanti che poi abbandonano dopo aver scroccato pranzi e serate, alla distruzione sistematica di luoghi e situazioni rispettabili. Perché se il mondo è diventato cattivo, tanto vale diventarlo a loro volta. Chytilová assieme a un team di scrittura e creazione composto da sette persone, di cui solo Ester Krumbachová firma la sceneggiatura, non ha bisogno di un racconto né di una struttura drammaturgica, anzi li sabota grazie al meccanismo della comica e alla reinvenzione in chiave satirica e contemporanea degli insegnamenti delle avanguardie storiche: fin dai titoli di testa, in cui la guerra e il lavoro meccanizzato si alternano inesorabili, Chytilová usa il montaggio (di Miroslav Hájek) e la fotografia (a cura di Jaroslav Kucera) per terremotare la visione tradizionale del cinema, specie quello del realismo socialista, vero primo obiettivo non dichiarato dei registi cecoslovacchi dell’epoca, per destabilizzare i valori convenzionali e conformi partendo dal linguaggio con cui venivano propagandati.
La satira e l’attacco sono diretti ed espliciti, ma condotti con le armi di un umorismo a tratti irresistibile, di un uso del colore di rarissima forza inventiva, che cambia di continuo anche dentro la stessa immagine, con effetti “animati” dirompenti che sembrano accompagnare l’opera distruttiva delle protagoniste le quali, anche grazie alla vitalità sensuale dei loro corpi e personaggi, incarnano perfettamente (e Le margheritine con loro) lo spirito che un paio d’anni dopo darà vita alla Primavera di Praga e alla sua repressione. Non è un caso che, come tutta la teoria del comico dagli albori a oggi, il fine ultimo della comica è la soddisfazione dei bisogni primari, la fame su tutti che giunge al bellissimo finale del banchetto distrutto e poi ripulito come punizione delle autorità.
La dedica finale poi, che fa eco alle accuse che portarono alla censura del film, sembra parlare anche ai benpensanti di oggi: “Dedicato a chi si indigna per un’insalata calpestata”, la chiusura di un film la cui frenesia immaginativa è tanto segno di un tempo, quanto porta per la sua universalità.