Camminare a zig-zag
Merito del lavoro prezioso e certosino della Cineteca di Bologna, è arrivato nei nostri cinema El, pellicola datata 1953, di Luis Buñuel, uno degli ultimi film girati nel periodo messicano del regista spagnolo.
È la storia di Francisco Galván, un ricco borghese che durante un Giovedì Santo in Chiesa si innamora di una donna che scoprirà in seguito essere la promessa sposa di un amico. Nonostante ciò farà di tutto per conquistarla e, una volta strappata al rivale d’amore, la sposerà. Ma la vita coniugale si rivelerà più difficile del previsto vista la focosa e maniacale gelosia di Francisco.
El è un perfetto zibaldone sulle tematiche e sullo stile del suo regista e di tutte le sue ossessioni: feticismo, psicanalisi, surrealismo e incubi, fatti soprattutto a occhi aperti.
Francisco si innamora di Gloria guardandole i piedi, diventerà ossessionato da lei fino alla pazzia e la sua gelosia lo porterà a pensieri malati che arriveranno al desiderio di legarla o utilizzare su di lei una lametta per farla “stare buona”. Durante tutto il film il sentore che serpeggia è che la maggior parte delle azioni che l’uomo compie siano solo frutto del suo inconscio. Buñuel gioca con lo spettatore e, soprattutto nella citata sequenza in cui Francisco entra nella camera della moglie con corda, ago e filo, non sapremo mai se le sue gesta siano reali o solo morbosamente immaginate. El è ancora un film attuale in cui gelosia, manie, possesso e tutte le altre forme di violenza nei confronti della donna sono temi che ritroviamo ogni giorno nelle pagine di cronaca, con l’aggiunta, come spesso accade, che quando la vittima si confida con gli altri non viene creduta. Il buon cattolico Francisco si rivela essere il peggiore degli individui che matura anche repulsione nei confronti della Chiesa e delle sue regole quando capisce che nessuno riesce a comprendere il suo amore e la sua paranoia, neanche il fidato padre confessore, che in uno dei tanti deliri di Francisco lo vede anche lui a deriderlo durante una messa, in una scena indimenticabile e puramente surreale in cui si sovrappongono i volti ridenti degli altri fedeli. Ancora una volta troviamo un altro tema caro al regista che per quasi tutta la sua carriera ha criticato aspramente: l’ottusità dei dettami religiosi e dei suoi rappresentanti. E fa sorridere che l’unico posto, nel finale, in cui forse Francisco troverà pace è un monastero dove però è emblematica la perturbante inquadratura finale che rivela come i suoi problemi non sono superati.
Un film complesso nella sua storia semplice che si presta a molte interpretazioni soprattutto nei suoi simbolismi: la tortura, il feticismo, la pazzia, l’incomprensione, la tranquillità, la camminata a zig-zag. Caratterizzato da una narrazione fluida e per questo inquietante nella sua progressione “normale”, come se non ci fosse nulla di male o di strano in quello che vediamo. Anche se meriterebbe un’attenta analisi, guardando El viene da chiedersi se Hitchcock l’abbia visto, dato che (non sveliamo troppo) c’è una sequenza ambientata in un campanile che ricorda molto da vicino La donna che visse due volte di cinque anni più tardi. Due grandi film in dialogo che ci parlano dell’uomo e dei suoi deliri. Due grandi registi che hanno messo in discussione le nostre certezze e hanno esaltato la vitalità del sogno, folgorandoci.