La bestialità dell’uomo
Film dopo film, Rodrigo Sorogoyen porta alla luce e trasforma in immagine i contrasti e gli abissi dell’animo umano, indagando su un mondo venato da odio, dolore, violenza, istinti primordiali e belluini.
Le storie che racconta e gli elementi del thriller sono per il regista spagnolo un filtro e una lente, per poter in realtà osservare nel profondo i personaggi e i riflessi che gli eventi provocano su di loro. In As bestas tutto ciò diventa ancora più tangibile, a partire dal titolo che mette subito in evidenza il lato ferino del racconto e della società mostrata.
Una coppia francese, Antoine e Olga, si trasferisce in un piccolo villaggio rurale tra le montagne della Galizia, per sfuggire alla vita borghese e trovare contatto con la natura. Il loro intento è quello di lanciare un progetto di agricoltura eco-sostenibile e di ristrutturare vecchi ruderi abbandonati per cercare di ripopolare l’area. La loro presenza è però invisa a due fratelli che abitano nel terreno vicino, Xan e Lorenzo, soprattutto a causa dell’intenzione della coppia di votare contro l’installazione di pale eoliche nella zona. Tra provocazioni, minacce ed episodi di violenza, la tensione diventa sempre più alta. I luoghi e gli ambienti, nel cinema di Sorogoyen, diventano spesso dei protagonisti, quasi come se trovassero una connessione con i personaggi o con i meandri del racconto. Valeva per il cuore di Madrid in Che Dio ci perdoni, per la capillarità, le strade e l’indefinitezza dei luoghi ne Il regno, per la costa francese in Madre e analogamente per il villaggio e la campagna galiziana in As bestas. Siamo lontani dalla città, dalla modernità, dalla vita borghese, lontani da qualsiasi scenario urbano e lontani nel tempo, ed è proprio questo ambiente che diventa terreno di scontro, tra uno stile sociale e culturale radicato e la prospettiva di un cambiamento. Lo scenario galiziano ci viene presentato nella sequenza introduttiva attraverso una festa tradizionale, la Rapa das Bestas, in cui gli aloitadores (lottatori) domano a mani nude, mediante solo la propria forza, dei cavalli selvatici per poi rasargli la criniera e la coda. Un prologo al rallenti che raffigura la primordiale lotta, dal carattere brutale, tra l’uomo e la natura, anticipando il film e la scena madre.
As bestas è pervaso da un costante senso di minaccia e di morte, con una tensione che affiora e cresce inesorabile nei volti, nel non detto, nei particolari. Eppure rimane spesso fuori campo, non mostrata e non accentuata, come una miccia infinita, accompagnata da una regia sospesa e quasi impassibile, lontana dai movimenti di macchina impetuosi dei precedenti film di Sorogoyen. Anche in questo caso diventa presto evidente come al regista spagnolo non interessino solo la vicenda narrata, lo scontro tra vicini, le differenze sociali e culturali, la riflessione ambientale, ma anche e soprattutto come questi aspetti e l’odio viscerale agiscano e influenzino i personaggi nel profondo; il loro modo per affrontarlo o per superarlo, la reazione e le conseguenze emotive. Ed è anche per questo che As bestas, come e ancor più rispetto a Madre, si divide fondamentalmente in due film in cui cambiano punti di vista, percezioni e ripercussioni. C’è un prima e un dopo, c’è la folle violenza e la sua persistenza che muta nella forma e nei modi in cui viene assorbita. Il luogo si colma di dolore e di bestialità endemica, con cui talvolta si finisce con il coabitare, nel cammino per riacquistare la libertà.