Il suono del silenzio
Una vita senza parole, una carriera in cui l’unica mai detta – più o meno – è il “NO” pronunciato in un film muto, L’ultima follia di Mel Brooks. Marcel Marceau ha fatto del corpo, del volto e dei gesti la sua arte, ha chiesto alle persone di immaginare scene, situazioni e oggetti che non esistevano, ma che divenivano reali nelle sue pantomime.
Al più grande mimo della storia contemporanea Maurizius Staerkle Drux ha dedicato un documentario, The Art of Silence, in programma al Pordenone Docs Fest.
Il film racconta la vita di Marceau non in senso biografico, ma affettivo, narrando le sue vicende dal punto di vista dei famigliari ancora in vita, la moglie, le figlie, i parenti che ne hanno condiviso la difficile giovinezza di ebreo in fuga da Parigi e aderente alla Resistenza (da qui deriva il nome d’arte, che era il suo nome di battaglia, in onore a un generale della Rivoluzione francese) e poi la carriera di successi, in giro per il mondo, a mostrare a bambini e adulti la meraviglia del racconto muto, non a caso ispirato dallo Charlot di Chaplin. Il ruolo e il filtro della famiglia sono decisivi per lo stesso Staerkle Drux che parte dal padre, sordomuto al quale l’arte della pantomima ha aiutato a comunicare, ne ha favorito l’espressione, lo stesso Marceau è stato un legante fondamentale per i due. Il regista parte da questo rapporto, mostrando il genitore anche nell’atto di replicare alcune scene di Marceau, per poi ascoltare i suoi intervistati e far vedere il mimo con e senza trucco mentre lavora, crea, dialoga con il pubblico, legando insieme l’arte e gli affetti, riempiendo con il suo corpo le assenze che sono il tema nascosto del film: assenza di parole, evidentemente, ma anche assenza come fuga, come viaggio, come mancanza di affetti per lavoro o difetto, come effetto del tempo nella lettera che il nipote scrive a quel nonno che non ha mai conosciuto.
The Art of Silence calca un po’ la mano sul pathos, nelle musiche o nel montaggio di Tania Stöcklin, per esempio quando crea un parallelo tra l’incontro con i bambini e le bombe che gli ricordano la guerra, ma è un documentario piuttosto emozionante che restituisce il lato umano a un’artista che la sua stessa arte, più che il suo carattere e il suo atteggiamento, ha coperto di mistero. E di silenzio, ovviamente.