Ricomincio da Troisi
Nel 1982 Massimo Troisi aveva già precorso i tempi, realizzando una finta inchiesta sulla propria morte con l’esilarante Morto Troisi, viva Troisi! Oggi a quasi trent’anni di distanza dalla sua reale scomparsa (avvenuta nel 1994), Mario Martone costruisce un omaggio sentito e mai forzatamente celebrativo, dedicato al grande interprete e comico partenopeo.
Laggiù qualcuno mi ama, presentato alla 73a edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, non è un classico documentario biografico ma un’autentica inchiesta condotta dallo stesso Martone, il quale ponendosi come figuraguida alla ri-scoperta artistica e umana di Massimo, intervista colleghi e amici di Troisi, analizza spezzoni dei suoi film, rilegge i suoi appunti e riascolta la sua voce su di un nastro, arrivando così a comporre un grande affresco in cui il personaggio in questione e la città di Napoli vanno a fondersi in un’unica cosa.
Sul piano strutturale il lavoro di Martone non è poi tanto dissimile da altri suoi film sia di finzione che di carattere documentario, in quanto la narrazione è sempre mossa da una ricerca, da un viaggio nella memoria e nell’anima di una persona e di una città. Fin dagli esordi di Morte di un matematico napoletano (1992) il regista puntava a raccontare la sua Napoli (vitale, funebre, sentimentale e triviale) attraverso la vicenda biografica di un personaggio, in quel caso era avvenuto con la figura di Renato Caccioppoli. Questa lettura comparata è stata ripetuta anche in successivi lavori come L’amore molesto (1995), Nella Napoli di Luca Giordano (2001) e nei recenti Qui rido io (2021) e Nostalgia (2022). Laggiù qualcuno mi ama, oltre a celebrare Massimo Troisi e il suo originalissimo linguaggio comico (esplorato da Martone con doviziosa ricerca critico-teorica), è anche un documento storico-politico di quella temperie culturale in cui è cresciuto e vissuto l’interprete campano. La tragedia del terremoto dell’Irpinia (che coincide praticamente con il suo debutto artistico), i movimenti femministi, le manifestazioni politico-studentesche, raccontano quello che ha respirato la generazione di Massimo e come lui è stato in grado di rielaborare quel clima per trarne una poetica personalissima, che ha poi travalicato la pura comicità facendosi stile cinematografico. Martone fa un paragone limpidissimo quando affianca il cinema di Troisi regista a quello delle nouvelle vague e specialmente a Truffaut, cogliendo nel segno la libertà creativa entro la quale si muoveva e la capacità che aveva di trattare con leggerezza e intelligenza tematiche universali come l’amore e la morte.
Nel suo cinema l’amore (come relazione tra i due sessi), viene spesso mosso da donne volitive ed emancipate, creando così una forte demascolinizzazione del Troisi-personaggio come ironico ribaltamento del maschio seduttore, topos ormai superato dalla rivoluzione femminista. La morte invece è una riflessione costante all’interno dei suoi film, che da esorcizzante boutade autoreferenziale (Morto Troisi, viva Troisi!, No grazie, il caffè mi rende nervoso) diventa spettro minaccioso all’interno del suo ultimo, sofferto e irrisolto film-testamento (Il postino).
Laggiù qualcuno mi ama, incastra con pazienza certosina (ottimo il montaggio di Jacopo Quadri) pezzi di arte e di vita che Massimo ci ha donato, facendone un mosaico teorico e popolare, solare e dolcemente malinconico.