There’s no despair in the world at all (Rabbi Nachman)
Presentato in competizione nella sezione Generation 14 plus della Berlinale, Delegation è una particolare coming of age story che parla, appunto, di una delegazione di ragazzi israeliani in gita nei posti della memoria della Shoah in Polonia.
Asaf Saban si concentra su quattro di loro: in particolare due, Frisch (Yoav Bavly) e Nitzan (Neomi Harari) cresciuti assieme e che si trovano con gli altri due ragazzi, Ido (Leib Lev Levin) e la sua fidanzata, a vivere situazioni che nei momenti più leggeri potrebbero ricordare il quadrilatero amoroso di Dawson’s Creek. Questi squarci di bellezza e nostalgia adolescenziale – e Saban ci fa sentire il peso di quegli anni – sono il perfetto contraltare di alcuni dei luoghi più significativi nel genocidio del popolo ebraico: Maidanek come Treblinka passando, ovviamente per Auschwitz.
A ogni tappa insegnanti e studenti, plus Yosef (Ezra Dagan) il nonno di Frisch che è un sopravvissuto all’Olocausto, si radunano come in una comunità di recupero, in cerchio in una sala vuota, a fare una somma di considerazioni sulle difficili tappe emotive che devono affrontare. Se per alcuni la visita di certi siti comporta un fastidio e un obbligo scolastico, per Frisch e in particolar modo per Nitzan (che ruba la scarpa di una vittima a Treblinka) il viaggio diventa una via crucis di cui non si conoscono le tappe o la fine: per Frisch il peso della memoria impersonificato dal nonno è troppo da sostenere; per Nitzan quello stesso peso le si incolla addosso come un manto pregno di dolore. Qua e là, in una massa di ragazzi che rivendica giustamente il vivere l’adolescenza tra festini nascosti e amori interrotti, si coglie un orizzonte che per quanto non abbia nulla a che spartire con gli orrori del passato, promette diversi incubi. Per alcuni il post-diploma significa l’esercito, in quello stato di assedio perenne in cui Israele pensa (?) o vive.
In Delegation c’è la perenne sensazione di un agguato girato l’angolo di strada, di un malessere che deve essere sentito costantemente. Lo stesso professore consiglia ai ragazzi di mantenere un basso profilo mentre girano per le città, rivelando una sorta di persecuzione introiettata nelle precedenti generazioni, e il bisogno costante di proteggersi grazie anche a quei ragazzi in gita che vengono, forse’, ‘addestrati’ emotivamente a non dimenticare mai, a non scrollarsi di dosso il Novecento con tutti i suoi sbagli e gli orrori. Lo stesso nonno di Frisch, incaricato di raccontare la storia attraverso la sua, sembra volersi soffermare più sulle zone di luce di quel racconto: il primo amore perduto o i giochi interrotti con la sorella. È la vita che si fa strada, anche nelle baracche di Auschwitz dove Ido e Nitzan si lasciano andare a un momento tenero che sembra sfociare in una pulsione di vita sottoforma di tensione sessuale. Così come Frisch stesso, che nel semplice richiamo del sesso e degli ormoni a palla di ogni adolescente, sembra voler rivendicare un futuro, quel futuro che non sappiamo più immaginare tanto è pesante l’eredità del passato.