‘Per me si va tra la perduta gente’
Non tutti hanno colto il potenziale comico di Fairytale, nuovo lavoro di Aleksandr Sokurov, presentato in anteprima all’ultima edizione del Locarno Film Festival.
Stessa sorte era capitata a dei lavori di William Burroughs e di Ferdinand Celine, ma sembra che nella cosiddetta intellighenzia di oggi – e non solo – la cultura, quella Alta, debba essere retaggio della tristezza o, peggio ancora, della seriosità.
Invece, Fairytale, fa ridere, molto ridere, ma increspa sul viso quel sorriso “ferito ma brillante” con cui Danny Fields – forse, non ricordo bene – descrisse Iggy Pop al massimo della sua carriera artistica. Ci sono Hitler, Mussolini, Stalin e Churchill – e già fa ridere così – in un limbo che ricorda lo stile di Escher; in un gioco di grigi dove pare che il regista abbia passato il dito sopra per sfumare la matita, come facevamo da piccoli sui nostri disegni quando calcavamo troppo la mano. Sokurov, a inizio film, ci tiene a sottolineare che non è stata usata la tecnica del deep fake, ma solo materiale d’archivio rielaborato, perciò vediamo i quattro cavalieri dell’Apocalisse in diverse fasi della vita, ognuno coi propri doppelgänger e i loro cloni, a recriminare per errori od orrori fatti e subiti, credi politici, linee di pensiero e odori mefistofelici perché, ebbene sì, in quell’alienante Purgatorio gli odori rimangono. C’è anche Napoleone, che in Paradiso è già stato accolto, e appare di tanto in tanto ai suoi fan che hanno calcolato, male, i suoi passi e le sue gesta. C’è anche Cristo, special guest in un cameo iniziale, vessato da Stalin e Hitler in un atteggiamento tra l’ironico e l’emo ante-litteram. Dopo Moloch (Hitler), Toro (Lenin), il Sole (Hirohito) e Faust, Fairytale pare il racconto con cui potremmo finalmente mandare a dormire il Novecento, no?
In questa scombinata Babilonia, dove ognuno parla la sua lingua d’origine, sono tutti figli spirituali di Lenin, soprattutto Mussolini, in un canto nostalgico di come sarebbe dovuto essere il mondo immaginato dall’autore di Che fare? A turno, i Fab Four, quando non sono impegnati a prendersi in giro, a minacciarsi e soprattutto a vantarsi chiedono di attraversare le immense porte che conducono a Dio, mentre Churchill è ossessionato dalla sua Regina. Ad alcuni viene risposto di aspettare, ad altri viene riservato un silenzio da fare invidia a Bergman. E Dio, o chi per lui, osserva come un personaggio dispettoso delle fiabe e sbircia senza mai mostrare il suo volto (non si può vedere il volto di Dio). Dio più simile a un folletto o a una fata delle fiabe celtiche in quanto a dispetti da elargire, che a una creatura fuori dal tempo e super partes.
E a me Fairytale, che pare la versione eletta del bagaglino con le sue non-imitazioni, ha ricordato quel tragicomico racconto di Kafka Davanti alla legge, dove un uomo di campagna, per rispettare la legge, passa tutta la sua vita in attesa che il guardiano lo lasci attraversare il portone. Prossimo alla morte chiede al guardiano perché lui solo è lì davanti e nessuno ha provato ad attraversare le porte: “Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato a te soltanto”. La tragica ironia, come per Fairytale, di un Paradiso dove le porte sono accessibili dopo un percorso solitario e individuale di miglioramento e comprensione di sé stessi. Ma la vanità dei protagonisti è quel guardiano incorruttibile e maligno che sbarra loro la porta, in un eterno ritorno agli errori che si ripeteranno uguali fino alla fine del mondo.