La storia di un “garbuglio”, di un “dolore arruffato”, il senso del crescere
Dopo L’amore molesto (Mario Martone) e La figlia oscura (Maggie Gyllenhaal), trasposizioni cinematografiche di due libri di Elena Ferrante, e soprattutto dopo L’amica geniale (Saverio Costanzo), produzione Rai e Hbo di cui si attende l’ultima stagione, è arrivata La vita bugiarda degli adulti (dal 4 gennaio su Netflix).
Ormai è una certezza, Ferrante, oltre a essere una delle scrittrici più misteriose e amate degli ultimi decenni, è diventata creatrice di storie per il piccolo e grande schermo.
La serie, composta da 6 episodi (Bellezza, Somiglianza, Amarezza, Solitudine, Amore e Verità), ambientata nella bella e scontrosa Napoli degli anni ’90, scritta dalla stessa autrice insieme a Laura Paolucci, Francesco Piccolo e Edoardo De Angelis, anche regista, racconta la crescita di Giovanna (Giordana Marengo), detta Giannina, annoiata, irrequieta e in crisi. La sua esistenza si muove tra genitori e amiche, voti bassi e romanzi; l’equilibrio si rompe quando sente che è sempre più simile alla “brutta” zia Vittoria (Valeria Golino), sorella di suo padre Andrea (Alessandro Preziosi). Giovanna è piena di apatia adolescenziale, tutta fatta di alzate di spalle, camminate trascinate e poche parole, e la zia, così irascibile, sfacciata, appassionata, suscita in lei interesse. Vittoria è orgogliosamente rozza, nervosa, porta rancore e incolpa il fratello per ogni disgrazia della sua vita. Fuma, impreca, minaccia. E Giovanna viene ammaliata da questa donna favolosa e labirintica, tempestosa e dolente, che la porta a sé per poi respingerla e poi irretirla ancora. La ragazza incorpora tutto questo bagaglio e inizia a guardare il mondo attraverso una lente nuova. Allontanandosi dalla sicurezza delle amiche d’infanzia, esplora territori pericolosi alla ricerca di risposte che nessuno sembra darle. Vaga e oscilla tra due ideologie, quella della Napoli alta, del Vomero e della borghesia, e quella bassa, del Pascone e del sottoproletariato dove vive la zia. Mentre attorno a lei cose, persone, situazioni si smarginano e si distruggono, cerca di trovare costruire altro. Toglie lo strato di bugie che soffoca la vita degli adulti e grazie alla zia inizia un percorso di crescita e maturazione interiore. I sentimenti affiorano, si stagliano ed emerge ciò che nel romanzo viene definito “garbuglio”, quel caos “arruffato” che accompagna il dolore. Tale groviglio è reso bene dalla serie che mantiene una certa fedeltà al romanzo e se ne allontana solo per aggiungere ulteriori significati e amplificare, grazie alle immagini, le potenzialità creative dell’opera originale.
La vita bugiarda degli adulti è un coming of age rude e poetico, sporco e al tempo stesso ricercato, lentissimo e ripetitivo quanto sorprendente ed evocativo, con al centro la concezione vorticosa e complicata di ciò che rende tale una famiglia e di ciò che le persone al suo interno devono l’una all’altra. De Angelis riesce a dare corpo al testo e realizza una serie che pone degli interrogativi, che commuove e, anche se a tratti non convince a pieno, sa scavare dentro in modo silenzioso e imprevedibile.