Il giocattolo che uccide
Nell’ultimo romanzo del premio Nobel Kazuo Ishiguro, Klara e il sole, si ipotizzava un robot di ultima generazione, di sembianze femminili, creato per tenere compagnia a una bambina e assisterla nella crescita. Con tutte le conseguenze problematiche del caso, per esempio il divario insuperabile tra umano e non umano, oppure il percorso per diventare grandi che ci fa dimenticare i giochi, come accadeva in Toy Story 3 – La grande fuga.
Al romanzo di Ishiguro sembra avvicinarsi l’ultimo horror della Blumhouse: M3GAN, diretto da Gerard Johnstone, supera lo stereotipo critico che lo associa a La bambola assassina, film fondativo ma degli anni Ottanta e dell’era analogica, che poco c’entra con il mostro ultra-moderno qui inscenato.
M3GAN è infatti una bambola di ultima generazione. Costruita dalla programmatrice Gemma (Allison Williams), è pensata per dominare il mercato dei giocattoli con il prodotto definitivo: un’androide di elevata intelligenza in grado di diventare la migliore amica di ogni bambino, non solo per il tempo del gioco, ma anche nei consigli sui modi da seguire e i comportamenti da adottare lungo la strada sterrata che conduce alla pubertà. Il pretesto per fabbricare M3GAN a Gemma arriva dalla nipote Cady (Violet McGraw), una piccola rimasta orfana dopo la tragica morte dei genitori in un incidente: è l’unica sopravvissuta, viene adottata dalla zia, non ritrova alcuna gioia finché non conosce proprio la bambola. Scatta la scintilla, vivono insieme, diventano amiche, M3GAN sviluppa un forte istinto di protezione nei confronti di Cody. Anche troppo forte…
La casa di produzione di Jason Blum ormai la conosciamo, qui con James Wan che collabora al soggetto: in ogni titolo, anche il più archetipico, è in grado di inserire la virata, l’elemento disturbante, di ricucire il topos nel mondo odierno, insomma di rendere qualcosa di già visto peculiare e interessante. E certamente dall’alba della fantascienza conosciamo il robot assassino, l’androide che si ribella perché, per dirla con Dick, non si limita a sognare pecore elettriche ma entra in azione.
Il regista Gerard Johnstone rappresenta una deriva del contemporaneo. Da una parte la grande azienda di giocattoli è un concentrato del cattivo capitalismo, sempre più avida, vogliosa di superare la concorrenza a qualsiasi costo. Dall’altra la genesi dell’androide sembra effettivamente aiutare la bimba a superare il lutto, seppure con derive inquietanti, come la registrazione della voce materna con cui M3GAN si offre di “conservare un ricordo per sempre”. Ma è giusto che un ricordo sia per sempre? C’entra qualcosa con l’umano o siamo oltre, in una zona posteriore ma tutto sommato vicina a noi, alla voce di Alexa nelle nostre case? Come ci evolveremo?
Lasciando quesiti senza risposta, il film ha il pregio di intavolarli attraverso un efficace meccanismo di genere. Come sempre con Blum, l’horror torna alla sua dimensione più nobile, all’intrattenimento di sangue. Non bisogna per forza evocare massimi sistemi: il genere basta a se stesso. Ecco allora che ci godiamo gli ammazzamenti della perfida androide fuori controllo, momenti che vengono coreografati con la nuovissima tecnologia a disposizione del mostro, come il suo scanner ottico. Si poteva spingere di più sul pedale dello splatter, che si risolve in poche gocce di sangue, ma siamo pur sempre nell’alveo del prodotto per le sale, un film per tutti. A proposito di orrore, la vera grande evocazione tra le righe guarda a un capolavoro primitivo del genere: la creatura di Frankenstein, il primo mostro, con la sua nascita non umana, la genesi artificiale che si rivolta contro il demiurgo folle e tracotante. Qui non facciamo il tifo per M3GAN come si faceva per Boris Karloff ma a ben vedere è una sua possibile evoluzione, perché anche M3GAN è stata creata, non ha chiesto lei di venire al mondo per uccidere ma è frutto della nostra arroganza.