Un’opera riuscita a metà
Il cinema di Pippo Mezzapesa viene da lontano: partendo dalla Puglia, dal 2001 compie uno slalom forsennato tra cinema del reale e dramatizzazione.
Ma se era difficile distinguere cosa fosse vero e cosa no in Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate, man mano che Pippo è stato assorbito dal grande schermo e ha messo da parte quel gusto per il surreale che contraddistingueva le dinamiche dei suoi personaggi a favore di un’indagine che voleva essere sociale e culturale (come in Il bene mio) ma intessuta su materiale narrativo più canonico.
E chissà allora quanto fosse programmata la parte metaletteraria mentre veniva scritto Ti mangio il cuore, tratto dall’omonimo romanzo d’inchiesta di Carlo Boninini e Giuliano Foschini,: quanto fosse previsto che il film di Mezzapesa divenisse un impasto tra fiction e documentario nel momento in cui l’opera diventa il palcoscenico di debutto al cinema di Elodie. Perché, purtroppo, tutte le buone intenzioni e tutte le buone intuizioni di un regista dallo sguardo originalissimo affogano dentro la patinatura di quello che a tutti gli effetti sembra diventare un videoclip. La curatissima fotografia in bianco e nero di D’Attanasio avrebbe dovuto premere il pedale sulla declinazione da tragedia greca, e insieme restituire un senso di realismo tanto caro alle storie raccontate in passato dall’autore, ma i contrasti diventano così densi che finiscono per rendere tutto plastificato e fin troppo finzionale. In questo non aiuta certo l’assoluto stacco tra le geografie di un film che insegue la Quarta mafia tra capre, sangue primigenio e fango e la figura della protagonista principale, quell’Elodie che – per quanto riesca ad essere efficace nel ruolo – rimane come ingessata in una dimensione altra, fresca di parrucchiere tra unghie smaltate e perizoma Intimissimi anche mentre assiste ad uccisioni bestiali tra l’erba alta. Ma anche altri problemi affliggono il film, a livello di scrittura, come il lento scivolare della faida familiare in un meccanismo freddo e rivolto solo a tingere di rosso la storia, o alcune svolte di trama fin troppo frettolose. In questo, è curioso notare come il finale di Ti mangio il cuore cada nella stessa trappola di un altro film molto simile, Una femmina di Francesco Costabile (entrambi seguono le vicissitudini di una ragazza pentita che rompe il muro di omertà nel quale vive): una conclusione frettolosa e maldisposta, rabberciata nelle motivazioni e poco legata al contesto e agli sviluppi psicologici. Un’occasione sprecata.