In disgrazia alla fortuna e agli occhi degli uomini
Ammetto che la prima cosa a cui ho pensato guardando il finale di Butcher’s Crossing, di Gabe Polsky, è il sonetto 29 di Shakespeare: “Quando inviso alla fortuna e agli uomini”, un sonetto ambiguo, dove si sente tutto il peso di un destino ineluttabile come quello dei protagonisti di questo strano western.
La seconda, forse, più banale è Moby Dick. Arrivato nel piccolo paesino del Kansas Butcher’s Crossing, dove ci si occupa di pellame (in particolare quello dei bisonti), il giovane e ingenuo Will Andrews (Fred Hechinger) abbandona una vita agiata e trova sul suo cammino Miller (Nicolas Cage), il miglior cacciatore di bisonti nonché folle visionario che afferma di aver visto tra le colline del Montana un mare nero di bisonti promettendo alla Storia la più grande e ultima caccia della vita.
Accecato dal fascino pregno di caos calmo di Miller e dalla voglia di vivere un mondo che sta scomparendo (siamo dopo la Guerra di Secessione) e con lui il mito della frontiera, Will investe tutto ciò che ha in una spedizione che ha tutte le premesse di un rovinoso disastro. Will è Ishmael e Miller è assolutamente Ahab. Con loro in quella che è una vera folie à deux, Fred (Jeremy Bob) uno dei migliori scuoiatori in piazza, cinico amante delle donne che dovrà insegnare a Will il mestiere e il vecchio fedele compagno di Miller, Charlie (Xander Berkeley), ormai un alcolizzato dal braccio solo, moralista cattolico che riprende sempre Fred fino a sviluppare un vero odio nei suoi confronti. Ci sono tutti gli elementi per una tragedia shakespeariana: la natura indifferente; degli uomini che vivono ai margini della loro stessa anima a brandelli; la fine del secolo e la fine di un mondo (il loro); l’ossessione di Miller e lo sguardo vergine di Will; il trovarsi incastrati tra le montagne del Montana in pieno inverno in quella che doveva essere una caccia di tre settimane; violenza; solitudine and so on.
Tratto dal romanzo del genio di John Williams (il caso editoriale di Stoner pubblicato in vergognoso ritardo nel 2012 dovrebbe ricordarvi qualcosa) Butcher’s Crossing racconta a questa generazione woke e di attivisti del 5g, la strage dei bisonti perpetrata in America che portò, nel giro di una manciata di decenni, a una riduzione degli esemplari da milioni a poco meno di trecento . Il parallelismo tra l’inutile strage per fini puramente capitalistici, e quegli stessi uomini che li uccidono soggetti, più delle loro prede, alle spietate regole di mercato, funziona perfettamente: siamo come il pellame e valiamo il prezzo che il mercato o le persone abbienti decidono su di noi, in base a un puro capriccio o perché alcuni di noi sono segnati e “invisi alla fortuna e agli uomini”.
La regia di Polski, qui al suo film migliore, pare divertirsi del destino di uomini così piccoli nel compiere un’opera così grande nella sua vacuità. Così come la fotografia di David Gallego rimane neutrale e si sbilancia solo a favore della natura, mettendo gli sfortunati protagonisti sotto la luce di impietosi colori primari. Una follia a due dicevamo, con un elemento dominante come Miller e uno più giovane e ingenuo come Will, che al ritorno dalla battuta di caccia troverà pace per un inconscio ormai devastato nel farsi purificare dal fuoco, il fuoco di Miller, dopo che la natura meravigliosa e indifferente lo ha battezzato nel sangue.