L’abbraccio mancante
Tod Browning è un esperto di film maledetti. Il suo interesse verso il lato oscuro dell’umanità e del cinema lo ha spesso spinto a mostrare ciò che non si poteva (come in Freaks) o ciò che non si doveva, come il caso di Lo sconosciuto (The Unknown), film perduto, ritrovato, mutilato e poi rinato. Proprio nella versione risorta alla sua durata quasi originaria lo si è visto a Pordenone, in apertura delle Giornate del cinema muto 2022.
Il film parla proprio di mutilazioni e, infatti, racconta la storia “cronenberghiana” di un uomo (Lon Chaney) che lavora in un circo, non ha le braccia e si esibisce solo gambe e piedi. Il protagonista ha in realtà nascosto i suoi arti superiori per rifugiarsi nel circo e sfuggire alla polizia che lo ricerca per vari crimini usando il suo doppio pollice come segno identificativo.
L’amore per Nanon (Joan Crawford), che non sopporta l’abbraccio degli uomini, lo porterà a un gesto estremo, ma fatalmente inutile. Browning, assieme agli sceneggiatori Waldemar Young e Joseph Farnham, compone un melodramma orrifico che racconta come le pulsioni profonde e nascoste della psiche – qui identificata con i sentimenti nella loro versione follemente romantica – conducano il corpo a mutare, la persona a voler distorcere non solo la propria immagine, ma soprattutto la propria forma, a volerla modificare per aderire alle richieste dell’altro. Gli archetipi del circo come luogo maledetto (il protagonista Alonzo si esibisce assieme a un nano, Cojo, che in scena è sempre abbigliato come un diavolo) amati dal regista consentono di caricare l’atmosfera di un’abiezione che si riversa poi sui corpi, soprattutto su quello di Chaney, che recita senza l’ausilio delle braccia, rimodulando la forma del suo torace e la sua postura dentro armature strettissime, il cui impedimento fisico è sovrastato dal suo carisma, dalla sua espressività realmente perversa e diabolica, capace di esprimere con vigore e lucidità il centro tutto intimo del conflitto messo in scena, che arriva nel finale a punte di crudeltà straordinarie.
“Visitare un obitorio sarebbe più divertente e istruttivo”, scrisse un critico dell’epoca, e il film, uscito a ridosso dell’avvento del sonoro, finì poi in magazzino e considerato perduto per 40 anni. Venne rinvenuto in alcune copie in giro per l’Europa, più volte restaurato, ma sempre in una versione di quasi 10 minuti più corta dell’originale. Poi, il George Eastman Insitute ha scoperto che quasi tutte le scene mancanti nelle varie copie erano presenti altrove, così con un lavoro di mosaico ha restaurato e quasi completato (manca un minuto circa dal film definitivo) la copia che Pordenone ha proiettato. Più che sequenze vere e proprie, mancavano raccordi, dettagli, code, elementi che definivano meglio i personaggi ma che le distribuzioni mozzarono per rendere il ritmo del film più veloce e frenetico, già immaginando il fallimento dovuto all’arrivo delle parole. L’augurio ovvio è che questa nuova versione diventi presto disponibile anche a chi alle Giornate del muto non c’era.