Fughe e ritorni
In Love Life, film diretto da Kôji Fukada e presentato in concorso al Festival di Venezia 2022, le vite dei personaggi scorrono come le acque di un fiume acquietato dal torpore, trascinando sedimenti del passato che riaffiorano deviandone il corso e portando a biforcazioni improvvise e confluenze inaspettate. Proprio come delle anse e delle diramazioni, il film procede attraverso tensioni celate, fughe, separazioni e ritorni, con un conseguente senso di solitudine costante, uno dei temi ricorrenti nel cinema di Fukada.
Taeko, la protagonista, è una giovane mamma che abita con il marito Jirō e con il figlio Keita di sei anni, nato da un precedente matrimonio. Un tragico incidente sconvolge le loro vite e causa il ritorno di Park, primo marito di Taeko e padre biologico del bambino, sparito anni addietro senza lasciare alcuna traccia.
Quello di Love Life è un dramma che si estende oltre il ristretto nucleo familiare includendo altri personaggi e si manifesta in un reticolo di ricordi, rapporti, ritorni. Tensioni latenti e preesistenti che affiorano in un matrimonio apparentemente sereno ma adombrato da un velo malinconico, quasi apatico. L’avversione dei genitori di Jirō per il matrimonio con una donna separata e con un figlio, il tradimento dell’uomo da cui è nata la relazione con Taeko e la fuga di Park sobbollono come un passato mai risolto, gettando ombre sul loro presente. Ombre che avvolgono soprattutto Taeko, bersaglio di insinuazioni, affronti, schiaffi morali e fisici a cui non si oppone fino a che non sente il bisogno di reagire per affrontare il dolore e il senso di colpa, voltandosi verso quel passato e accogliendo la sofferenza come un impulso vitale. Non è, però, l’unica a guardarsi indietro, un gesto tipicamente giapponese (sin dalle Beltà di Hishikawa Moronobu) che coinvolge tutti i personaggi in successione, nel proprio percorso esistenziale.
Fukada affronta il dramma con levità e armonia di sguardo, osservando la fragilità, le scelte e le direzioni dei personaggi, nel loro cammino costellato di solitudine. Il rapporto tra Taeko e Jirō è segnato da un progressivo allontanamento, espresso attraverso la distanza che li separa dapprima nell’inquadratura e in seguito nello spazio, quando i due si trovano per alcuni giorni in città diverse e poi persino in diversi paesi. Li vediamo distanti anche nel finale, quando in casa aspettano di uscire e mentre si allontanano passeggiando. Lo stesso spazio concorre a riflettere e a manifestare i ricordi, i sentimenti e i legami dei protagonisti, con il terremoto che coglie i due poco prima che si riavvicinino ai rispettivi ex compagni, con i riflessi di luce creati dal CD appeso sul balcone e i gli aloni luminosi dei palazzi sullo sfondo, che ricordano le pedine di Othello, il gioco di cui Keita era un campione. Nel susseguirsi di separazioni e ricongiungimenti, Taeko ricerca un nuovo equilibrio attraverso una rinnovata consapevolezza di sé e, come l’omonima protagonista de Il sapore del riso al tè verde di Yasujirô Ozu, si apre alla ricostruzione del rapporto e di un destino comune, in questo caso più incerto e disincantato.