Gli angeli perduti del fiume Suzhou
È stato uno dei film chiave per capire la Cina e il suo cinema in un passaggio epocale, quello a cavallo dei millenni, della cosiddetta Sesta Generazione. Di quel movimento coglie soprattutto l’onda della riunificazione con Hong Kong, non perché parli di quel momento storico epocale nel 1997, ma perché coglie l’eredità spirituale e in parte estetica del suo cinema.
La donna del fiume – Suzhou River, diretto da Lou Ye nel 2000, è arrivato solo nel 2022 nelle sale italiane, approfittando del restauro che dalla Berlinale ha poi fatto il giro del mondo.
Segue le vicende di alcuni personaggi legati al fiume del titolo originale, che vivono sulle chiatte, lavorano nei bar vicini al porto, compiono traffici più o meno leciti attorno alle figure di due donne Moudan e Meimei (entrambe interpretate da Zhou Zun), una coppia di personaggi che porta alla storia il fascino e il mistero delle dark ladies, o meglio delle donne fatali del noir, come pure dei tocchi sottilmente fantastici. Lou Ye scrive un dramma sentimentale che mescola due correnti importanti per il cinema dell’estremo oriente di quel periodo, ovvero la scuola documentaria da cui poi emergerà trionfante Jia Zhang-ke e la nouvelle vague hongkonghese di Wong Kar-Wai.
Il regista di Shanghai mette insieme i due autori e i loro stili attraverso l’espediente della soggettiva: tutto il film è infatti raccontato dal punto di vista e dalla voce di un Videomaker (Zhang Ming Fang) che si nasconde dietro la videocamera per osservare o spiare i personaggi, per ricostruirne le storie con la distanza ridotta di chi le sta vivendo in quel momento da un lato, dall’altro per poter guardare in un modo poco mediato dalla messinscena l’ambiente che lo circonda, i cascami di un passato che cerca di rigenerarsi, il cambiamento difficile di un paese e di una cultura lungo un fiume, mostrando veri ambienti, cercando di infiltrare il mélo, il maledettismo romantico, il noir dentro la realtà, dentro il progressivo disfacimento di un paese (e infatti sulle prime, la Cina bloccò la diffusione in patria del film).
Fin dalle prime inquadrature, dagli effetti video e di montaggio con cui Lou guarda lo scorrere della vita sul Suzhou, La donna del fiume – Suzhou River mostra i segni del tempo e quelli del suo tempo, dello spirito estetico che lo animava, è invecchiato, ma con fierezza perché poi quei segni non limita a incarnarli ma ci ragiona sopra, ne fa il mezzo stilistico per raccontare i detriti di quello stile, di quel tempo e di quello sguardo, e in un film che sotto traccia è un testo sul modo in cui il tempo lascia il segno, in cui l’evoluzione fa rima con la dissoluzione, dire che il film è ‘invecchiato’ è forse fargli il complimento maggiore.