È stato un incontro brillante, pieno di passione, quello di Michel Hazanavicius con il pubblico del 41° Premio “Sergio Amidei” a Gorizia. Moderato da Roy Menarini e Paolo Mereghetti, stimolato anche dalle domande della platea, il regista che ha vinto cinque Oscar per The Artist ha fatto il punto complessivo sul suo cinema, come forse mai prima.
Cinema che ha una particolarità: si sviluppa in Francia, la terra dei Cahiers du Cinéma, la patria dell’autorialismo, eppure compie la scelta consapevole di non essere “cinema d’autore” e si offre come fieramente popolare, colto e cinefilo ma rivolto a tutti.
D’altronde basti guardare ai riferimenti che snocciola Michel Hazanavicius, tornando alle sorgenti del suo cinema: c’è tutta la commedia all’italiana, che frequenta e ama; ci sono Risi e Tognazzi insieme a Feullade e la serie Fantomas, tra tante altre cose. Il regista era visibilmente contento di ricevere il Premio all’opera d’autore in un festival dedicato alla sceneggiatura: non era mai stato visto come sceneggiatore, probabilmente, soprattutto da una terra natale che gli fa scontare una presunta minorità, nella bolla della ultra-cinefilia transalpina a volte al confine dello snob. Hazanavicius ha ripercorso la sua carriera: dagli inizi all’esplosione con The Artist, che vuole essere un grande omaggio al cinema muto rimettendolo in scena, attraverso Jean Dujardin che diventerà attore feticcio e la moglie del regista, Bérénice Bejo. Importante il passaggio sulla fama improvvisa dopo i cinque Oscar tra cui quello per miglior film: “Non è facile vincere tutti questi Oscar – afferma con ironia – perché dopo chiunque si aspetta da te una grande opera. Ricevi immediatamente una forte pressione. Però, alla fine dei conti, è meglio vincerli che non vincerli: lo consiglio a tutti”. Cineasta ironico e spiritoso come alcuni passaggi delle sue storie, a tratti un vero battutista, e l’immagine che emerge è quella di una “persona normale”, un costruttore di cinema ma anche un uomo come tanti, senza eccessive sovrastrutture intellettuali ma con passioni e preferenze, che vuole rimettere in scena.
Michel Hazanavicius scherza anche nei passaggi più difficili, come quando è chiamato a commentare Il mio Godard (Le redoutable), una delle maggiori polemiche cinefile degli ultimi anni proprio perché ha osato inscenare in forma di commedia leggera la figura intoccabile di Jean-Luc Godard. Ricevendo la netta stroncatura dei Cahiers, tra gli altri, e l’ironia spietata dello stesso Godard. “Il mio in realtà è un omaggio a Jean-Luc – spiega -, infatti ho chiamato a interpretarlo Louis Garrel, ovvero il figlio di Philippe Garrel che fu amico di Godard e con lui protagonista della Nouvelle Vague. È la storia di un uomo in crisi in un’epoca di crisi, certo, ma è un film per Jean-Luc e non contro. Ma Godard viene difeso anche se nessuno lo attacca”. Per Michel non esiste lesa maestà: maneggia il muto come Godard, il film sugli 007 come lo zombie movie. “Non c’è nessun problema – dice tranquillo – da sempre l’arte riscrive se stessa. Da sempre si fanno i remake e continuerà così”. Non stupisce allora che il suo prossimo titolo sarà un film di animazione sulla Shoah, che annuncia lasciando capire che affronterà con disinvoltura un altro totem. È un regista eterogeneo Hazanavicius, che gira film sempre diversi e appare stimolato proprio dalla divergenza e novità dei progetti, insomma dalla sfida. Quando va male non si scoraggia, come per The Search, opera lunga e complessa sulla guerra in Cecenia del 1999, che resta il suo più grande insuccesso, ma che oggi torna tristemente attuale con l’attacco russo in Ucraina. Il regista intanto è pronto al prossimo passo. Naturalmente, però, per continuare a fare film di successo c’è bisogno di gente che vada cinema, di una rinascita delle sale post-Covid. Su questo chiude il regista: “In Francia si dice che è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro. Non so cosa succederà: produttivamente nel mio Paese si va verso una divisione sempre maggiore, tra i film destinati alle sale e quelli che nascono per le piattaforme. Una cosa è certa: oggi il cinema costa troppo. Se un’intera famiglia decide di andare al cinema il prezzo è davvero elevato, su questo bisogna intervenire”.