Il racconto di un personaggio, una storia, un mondo reale
Nazar, un giovane originario dell’Azerbaigian, è costretto dalla famiglia e dagli amici a divorziare dalla moglie Reyhāne, poiché figlia di una prostituta. Ha pochi soldi e fa doppi turni per saldare il prestito chiesto in occasione del matrimonio. Quando inizia a rimanere indietro con i pagamenti, fugge dalla polizia e si ritrova nel deserto con un vecchio taciturno che vive cacciando serpenti velenosi. Le chiacchiere verbose del ragazzo infastidiscono l’uomo reticente ma i due, isolati e in povertà, dovranno riuscire a convivere.
Un uomo e una donna, il loro matrimonio e il loro divorzio. È questo il nucleo intorno a cui Farhadi costruisce il suo primo lungometraggio dando prova fin da subito del suo talento e dell’intenzione di narrare la società e la complessità dei rapporti umani.
Il regista di Una separazione, fa esplodere i conflitti interiori ed esteriori a volte lentamente a volte con una forza fuori dal comune, che ci si trovi nella stanza di una famiglia iraniana o nel deserto. Le sue opere rappresentano un’eccezione nel cinema iraniano post-rivoluzionario sfuggendo, almeno in apparenza, a ogni categoria. Vicino a Mohsen Makhmalbaf, Abbas Kiarostami, Jafar Panahi, Farhadi ha cercato la sua cifra stilistica, la sua strada e il suo mondo narrativo, trovando nel racconto dell’umano il proprio luogo. I suoi film si concentrano sui dilemmi etici, sulle contraddizioni culturali, sulla vita urbana, ruotando sempre intorno a conflitti domestico-sociali. Proprio per questo suo modo di raccontare la realtà è uno degli autori più amati e apprezzati a livello internazionale, capace di affrontare in maniera compassionevole e profonda l’esperienza umana tutta. Già in Dancing in the Dust (Raghs dar ghobar) c’è in nuce molta della sua filmografia: relazioni, imposizioni sociali, divorzio, crisi, conflitti e tutto avviene attorno a Nazar, Reyhāne e l’anziano uomo che per caso il giovane incontra sulla sua strada. Come tanti suoi personaggi anche Nazar è caratterizzato da un’intensa complessità emotiva: è costretto a lasciare la donna che ama perché continuare quel matrimonio getterebbe un’ombra spaventosa sulla sua famiglia, si ribella ma non riesce sempre a farlo completamente, può solo saldare il debito. Paradossalmente è proprio l’amore a spingere l’uomo a mettersi in gioco, a lottare per rimettere tutto a posto ma la sua vita è piena di problemi e di inciampi. Si conosce poco di lui, si vedono però la sua disperazione, le sue lacrime, i suoi occhi quando è affianco a Reyhāne, l’ostinazione con cui pretende di lavorare assieme a quell’uomo di cui non sa nulla.
La storia di Nazar ricorda molte altre storie scritte e dirette da Farhadi che mette su grande schermo istituzioni in crisi, come il matrimonio e il nucleo familiare, e ansie più profonde sulla società tutta e su tematiche di genere. Non è un caso che spesso le critiche rivolte al cineasta abbiano a che fare con il disfacimento dei ruoli e di una certa mascolinità tradizionale. Il regista esplora qui una mascolinità diversa: Nazar subisce le scelte degli altri; il dominio e il controllo che la società e la famiglia dimostrano di avere su di lui e sulla moglie sono chiari nei confronti di entrambi, nonostante come sempre accade, sia la donna, la dolce Reyhāne, a subire la punizione peggiore. Tra mancanze e approssimazioni, come i passaggi dal sentimentale al drammatico, la storia di Nazar si srotola potente di fronte agli occhi dello spettatore. Raghs dar ghobar costruisce il primo racconto sulle relazioni nell’Iran contemporaneo, rivela crisi radicate che attraversano la classe sociale ed economica, indaga nella disperazione umana amplificata dal deserto, dalla polvere, dal peso del passato, dal morso di un serpente.