Una cosa divertente che non farò mai più
Nessuno come David Foster Wallace ha descritto il disagio della civiltà sottoforma di una settimana in crociera ma Ruben Östlund ci prova, ovviamente a modo suo.
È una storia vecchia come il mondo quella di Triangle of Sadness che trova nelle classi sociali un modo di deridere, ancora una volta, la società attuale.
Il film si divide in tre capitoli: Carl & Yaya, Lo Yacht e L’isola. Benché il primo capitolo rappresenti un prologo e introduca i nostri due Virgilio prima di scendere negli inferi, Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean) sembrano un film a parte, anzi, sarebbe bello un film incentrato su di loro in quel campo di concentramento che è la moda. I due sono modelli e influencer, Carl sul viale del tramonto e Yaya, benché in auge, supporta la carriera di modella investendo le sue energie sui social. Nelle prime battute in cui vediamo Carl umiliato durante un provino, il cinismo del mondo della moda ricorda tanto l’inizio di quel capolavoro che fu Glamorama di Bret Easton Ellis, le coordinate sono quelle e l’aria altrettanto irrespirabile. Prima di arrivare alla crociera per ricchi in cui parteciperà la coppia (offerta a Yaya da uno sponsor) i due discutono in modo tragicomico sulla disuguaglianza non solo di genere ma anche economica tra i due. Tema portante di tutto il film dove da una crociera di lusso guidata da un comandante marxista (un meraviglioso Woody Harrelson), con dei compagni di viaggio grotteschi nel pieno della sbornia da onnipotenza provocata dai soldi, Carl e Yaya approderanno da naufraghi su un’isola con altri superstiti, e la piramide sociale verrà ribaltata dalla totale incapacità di sopravvivenza dei privilegiati e dalle qualità di leader di una domestica filippina. Siamo lontani dalla crudeltà sopraffina de La grande abbuffata (Marco Ferreri) o dall’ironia di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (Lina Wertmüller), ma Östlund strizza l’occhio a tutto questo in un vero e proprio divertissement che si allontana dalle pose di The Square e la sua inspiegabile Palma d’Oro nel 2017.
Più che un’analisi sociale e capitalistica, il nuovo film di Östlund è uno sguardo sulla figura maschile ormai smantellata: ciao maschio! Se entrambi gli schieramenti, in questa guerra infinita tra uomo e donna, vogliono l’uguaglianza, allora l’uguaglianza deve farsi carico oltre che dei diritti anche dei doveri, e il povero Carl lo imparerà a suo spese sull’isola.
Triangle of sadness (la zona sulla fronte tra le sopracciglia, quella che Carl avrebbe dovuto rilassare nel provino iniziale per sembrare più giovane) non annuncia la fine del capitalismo né tantomeno pretende di spiegarlo, come i libri di Franco ‘Bifo’ Berardi, ma vuole solo confezionare la merda in modo carino (come insegna il capitalismo). Chiunque sia rimasto deluso da questo film è perché a suon di mangiare merda non riusciamo più a riconoscere la cioccolata. “Vendo merda” continua a ripetere lo sgradevole oligarca russo a bordo con moglie e amante e diventato ricco grazie ai fertilizzanti. Si intrattiene col comandante, in una delle scene migliori, in un botta e risposta di citazioni su capitalismo e marxismo mentre i passeggeri sono devastati dal vomito per il mare mosso. D’altronde, se riempite una vasca di sangue e sborra e ci mettete dentro una enorme quantità di soldi chiunque sarà disposto a tapparsi il naso e a nuotarci dentro. Lo stesso fa Östlund quando deve incantare il suo pubblico avido e nel pieno dei postumi di una sbornia che ci ostiniamo a chiamare progresso sociale ed economico.