Save me
A me non dispiacciono i film antispecisti à la Gunda. Anche se sono un pugno dritto allo stomaco difficile da incassare, a meno che non siate Marian Dora, è cosi che dovrebbero essere quando hanno un intento (?) morale. Jerzy Skolimowski dopo l’incursione veneziana nel 2015 (11 minuti) torna con uno stile che ricorda i primi lavori: febbricitante, a tratti demenziale e con la perenne sensazione che da lì a poco piangerai sangue.
EO, ossia Hi-Han, è un asinello da circo curato dalle amorevoli mani della disadattata Kasandra (Sandra Drzymalska) con cui si esibisce in uno spettacolo dai toni, a livello visivo, refniani. Passata la legge per vietare l’uso degli animali nel circo, inizia l’odissea tragicomica di EO su falsariga del capolavoro di Robert Bresson Au Hasard Balthazar.
Co-scritto con Ewa Piaskowska, la versione libera del regista polacco, presentata in concorso alla 75ª edizione del Festival di Cannes, è più un tour di gironi danteschi, con un occhio di riguardo a una estetica moderna e una umanizzazione del protagonista: EO ha dei flashback della sua amata ‘padrona’, sequenze da sogno e primissimi piani in cui capiamo che lui soffre quanto e come noi. C’è un intento più antispecista rispetto al film del ’66, EO potrebbe essere accostato a Pinocchio nella sequenza di scelte, anche sbagliate, che compie l’animale e che lo portano a un prevedibile epilogo. Ci si appassiona alle disavventure di EO e benché siamo all’inizio del Festival, l’asino meriterebbe la Palma d’Oro e in epoca di inclusività ci starebbe tutto.
Così EO condannato a commettere gli stessi errori nostri – d’altronde siamo animali anche noi – passa da proprietari amorevoli come Kasandra, a fattori indifferenti, hooligan fuori di testa, sadici allevatori di volpi, contrabbandieri, fino a un problematico ragazzo italiano di nome Vito (Lorenzo Zurzolo). Un occhio di compassione e non solo di condanna il regista lo riserva anche a noi umani: Kasandra è vittima della povertà, di un fidanzato indifferente e dell’impossibilità di riscattare il suo EO; così come Vito, vittima di se stesso e di una matrigna – la contessa interpretata dalla sempre (ahimè) presente Isabelle Huppert – con cui intrattiene un rapporto amoroso declinato al tossico.
EO è una impietosa fotografia su una umanità allo sbando che non è capace di salvare se stessa figurarsi occuparsi di un altro essere vivente, soprattutto se è un animale, soprattutto in una società che quando non conosce un animale (a parte i soliti domestici a cui siamo abituati) tende a domandare con tutta l’arroganza antropocentrica e ottusa: a cosa serve questo animale?
Al di là di alcune scene inutili e imbarazzanti (la contessa e il figliastro), e un finale che arriva spompato, vittima di una tensione tirata fino all’estremo, EO si conferma una buona fiaba nera in linea con la sensazione di inevitabile sconfitta e di onesto disgusto verso se stessi e gli altri, disagio che Skolimowski non era capace di portare al cinema (ovviamente qui non con la stessa potenza) sin dai tempi de La ragazza del bagno pubblico. Ci si sente sporchi e bisognosi di rannicchiarsi nella doccia e piangere sotto l’acqua, perché EO è il riflesso della Susan de La ragazza del bagno pubblico, due personaggi sofferenti vittime di un mondo più stupido che crudele. E, forse, la cosa peggiore dell’epoca in cui viviamo, è proprio l’ipertrofia della stupidità umana.