Pieraccioni dice Messa(lina)
Già nel 1999, sulle pagine della rivista Ciak, il fumettista satirico Stefano Disegni aveva ironicamente annunciato il declino cinematografico di Leonardo Pieraccioni.
La striscia in questione era la recensione a fumetti (ovviamente parodistica) del film Il pesce innamorato, in cui nelle prime vignette spiccava il buon Leonardo a corto di idee per il nuovo film costretto a spremere la testa in una pressa per riuscire a trovare un soggetto originale, finendo poi per realizzare la solita storia.
Erano appena trascorsi tre anni dal mega-successo de Il ciclone (75 miliardi di lire!) e chi scrive conobbe l’autore-interprete toscano proprio con questo film che guardava alla commedia all’italiana traendone un esile spaccato sui trentenni di provincia negli anni Novanta a suo modo ancora genuino e a tratti simpatico. Dopo Fuochi d’artificio (1997), che era quasi la versione slapstick dell’esordio I laureati (1995), Pieraccioni con Il mio west di Veronesi (1998) e a seguire con Il pesce innamorato raggiunge un punto di non ritorno. Oggi, dopo 27 anni dai suoi esordi aurei, esce in sala Il sesso degli angeli, uno sketch da avanspettacolo gonfiato per un’ora e mezza di durata. Come molti comici prima di lui, Pieraccioni decide di indossare l’abito talare per impersonare don Simone, parroco di provincia, il quale si trova come eredità, da parte di uno zio defunto, un bordello con escort annesse.
L’equivoco (che pare la versione rovesciata di quello che vede protagonista Lino Banfi nel primo sketch di Vieni avanti cretino), si consuma nella prima mezz’ora di film tra doppi sensi spuntati e le smorfie di un Pieraccioni spaesato alla ricerca di una dimensione comico-farsesca che nel cinema popolare italiano di oggi non esiste più.
Dopo alcuni lavori più sbilanciati sul versante pecoreccio come Il paradiso all’improvviso (2003), Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005) e in ultimo un’ opera-bilancio un po’ alla Nuti, Se son rose (2018), il buon Leonardo, alle soglie dei 60 anni, cerca di recuperare la verve innocente degli esordi limitando la volgarità alle spettrali apparizioni di un Ceccherini fastidiosamente macchiettistico e inserendo la solita morale che si vorrebbe amara e invece appare solo pateticamente scontata e posticcia.
Sabrina Ferilli pare la versione âgée della squillo che aveva impersonato per Il signor quindici palle di Nuti, mentre Marcello Fonte si limita a mostrare il suo personaggio freak in vena di calembour lessicali.
Il sesso viene trattato in chiave oratoriale senza il minimo guizzo da pochade e tutto risulta incolore come una figurina sexy caduta nell’acquasantiera. Andiamo in pace!