Le canzoni di due umani
Se c’è un regista che ha saputo unire un’instancabile voglia di sperimentare sulle possibilità tecnologiche del cinema e l’ambizione di realizzare film che superassero i limiti dell’umano, quindi anche quelli del pubblico, quel regista è Francis Ford Coppola, titano dell’immagine e della Nuova Hollywood, colui che ha portato i precetti di quell’ondata al punto di non ritorno. Quel punto compie 40 anni nel 2022, quel punto si chiama Un sogno lungo un giorno (One From the Heart), il film che ridimensionò il regista – almeno per un po’ – e fece fallire il suo sogno.
Dopo gli incredibili film girati consecutivamente negli anni ’70, Coppola è IL regista del cinema americano, è Icaro che si costruisce le ali per volare e il sole contro cui si scontra è un film in cui il racconto è ridotto all’essenziale – una coppia si lascia, passa una notte brava a Las Vegas e poi si ricongiunge – in cui a divenire spettacolo epocale sono le immagini concepite da Vittorio Storaro e realizzate da Ronald Victor Garcìa e realizzate grazie a un pionieristico uso dell’elettronica in fase di realizzazione (il video come supporto alle riprese e al montaggio) che permette effetti visivi realmente all’avanguardia. Da quel “canovaccio” scritto dal regista e Armyan Bernstein, Coppola riesce a trarre ogni singola occasione per creare e ricreare la magia del cinema in purezza, a voler far splendere di meraviglia lo sguardo dello spettatore come fosse ancora di fronte al treno dei Lumière, agli operai in movimento: perché quello che dimostra Un sogno lungo un giorno, al netto – o proprio in virtù – del suo crollo (uno dei più fragorosi dell’intera storia del cinema), è che con le immagini e sulle immagini è possibile fare di tutto, sovrapporle, virarle, farle riflettere, decostruirle e poi ricomporle farle muovere in modi mai visti prima, dare loro colori impossibili e dimensioni favolistiche, come l’incredibile città di Las Vegas interamente ricostruita nei Zoetrope Studios che saranno venduti per ripagare i debiti. E se con l’immagine e la macchina da presa Coppola fa di tutto è perché il contenuto è divenuto nel frattempo una tela cangiante che passa dal melodramma al musical, dal fantasy alla commedia intimista passando per il cartone animato nel giro di uno stacco di montaggio, di un cambio di scena (strepitose, a opera di Dean Tavoularis), di un cambio di tono musicale, con le canzoni e le partiture di Tom Waits a fare da collante, a dire più delle parole come in un’opera.
Nel segno di Vincente Minnelli, Un sogno lungo un giorno sembra l’anello di congiunzione tra Aurora di Murnau e Annette di Carax, anni ’70 nello spirito ma proiettato altrove nell’impeto sperimentale, un film che sembra ancora d’avanguardia – e ci si perdoni la banalità della frase – e di cui si può capire oggi meglio di ieri tanto la sua bellezza inesausta, sia il perché fu difficile da accettare all’epoca: è un film il cui sfrenato romanticismo non passa per i sentimenti dei personaggi (e quindi per il cuore dello spettatore) né per le riflessioni intellettuali che genera nella testa. È una questione di sguardo, di occhi e delle loro infinite possibilità di creare e comunicare.