Come si diventa un geek?
1939, Midwest statunitense. Dopo essersi messo il passato alle spalle, Stan Carlisle sale a bordo di un treno per iniziare una nuova vita. Giunto al capolinea, viene attirato da un circo itinerante dove Clem, il proprietario, gli offre un lavoro come giostraio. Qui entrerà in contatto con i membri della comunità circense: gli artisti Molly e Bruno the Strongman, la chiromante Madame Zeena e suo marito Pete, un alcolizzato ex mentalista. Dopo aver acquisito certe doti chiromantiche che ne hanno acuito l’affabilità e le abili doti manipolatorie, Stan partirà alla volta di New York con l’obiettivo di farsi strada ingannando gli esponenti dell’alta società. L’incontro con la psichiatra Lilith, tuttavia, cambierà per sempre il corso della sua vita.
Se chiedete a Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno, Pacific Rim, Trollhunters) della ratio filmica del suo La fiera delle illusioni – Nightmare Alley vi dirà che non è mai stato nei suoi piani un remake dell’omonima opera di Edward Goulding del 1947. Ancor prima del suggestivo noir circense con Tyrone Power, Coleen Gray e Joan Blondell, La fiera delle illusioni è infatti un romanzo del 1946 di William Lindsay Gresham. Ed è proprio da lì che il regista messicano è partito, nello specifico da una copia del romanzo regalatagli da Ron Perlman nel 1992, ancor prima che vedesse il film.
Come raccontato in un’intervista a Collider, La fiera delle illusioni rappresenta un po’ il coronamento dei sogni di del Toro-giovane cineasta di cortometraggi: “Ci sono elementi più oscuri nel libro. Nei miei cortometraggi volevo fare il noir. E adesso ho la prima vera possibilità di fare un film di tipo sociale. Non ci sono elementi soprannaturali in La fiera delle illusioni. Solo una storia autentica, davvero oscura”. Un’ode al genere declinata da del Toro in una costruzione d’immagine stratificata e densa al sapore sempiterno di Golden Age hollywoodiana che, sullo sfondo storico degli ultimi attimi della Grande depressione, nell’appropriarsi delle visioni autoriali di Gresham e Goulding ne disinnesca la complessità narrativa in favore di una fruizione lineare e semplificata: storie raccontate per il piacere di essere raccontate, senza specifici sottotesti.
Ciò che resta invece immutata (perfino arricchita) è la complessità tematica di cui del Toro ripropone l’inerzia caduta-ascesa-caduta dell’arco narrativo del machiavellico antieroe protagonista Stan, la cui vivace caratterizzazione di luci e ombre abilmente mescolate trova arricchimento di senso in una climax “sfumata” che è puro istrionismo attoriale.
Passerà alla storia La fiera delle illusioni. Duplice conferma, rispettivamente, della maturità di un Bradley Cooper sensazionale come solo ne Il lato positivo e A Star is Born, e dell’eclettica visione registica di un Guillermo del Toro che, dopo Crimson Peak e La forma dell’acqua, continua ad arricchire il suo opus filmico regalando emozioni indelebili.