Scendiamo in strada
Una semplice storia d’amore, di amicizie ritrovate, di povertà, di modernismo che avanza schiacciando i più deboli, di rivalità razziali e sociali, di mutazioni: questo è ciò di cui parla West Side Story, da quando debutta a teatro, per la prima volta a Washington, nel 1957.
Spielberg ha dichiarato più volte che se ne innamorò sin da bambino, e lo dimostra adesso (ri)portandolo al cinema, assistito dalle memorabili note di Bernstein e dalle coreografie che oggi vengono orchestrate da Peck con performance atletiche e mai inadeguate.
Dal musical al cinema, la storia di Tony e Maria, ispirata al Romeo e Giulietta shakespeariano, è ancora potente e reale nella sua trattazione di ambienti e caratteri di una società che fatica a far emergere le proprie esigenze, se non con il sangue e la violenza. Spielberg rilegge il classico dopo averlo inseguito e, piuttosto che ammiccare a un “nuovo” pubblico, è coerente con il suo percorso autoriale. Sa benissimo che il suo spettatore di riferimento non ha bisogno di orpelli ma è un amante sia della sua regia sia del cinema e, quindi, si butta a capofitto, onestamente e rispettosamente, nella love story dei due protagonisti sullo sfondo della rivalità tra le bande dei Jets e degli Sharks. La sceneggiatura di Tony Kusher fa emergere il bilinguismo e il conflitto razziale dove la paura del “diverso”, sia per etnia sia per sesso, non può che essere un monito alla contemporaneità, dove il suprematismo bianco vorrebbe annientare ogni differenza e la parità di genere è ancora un miraggio. I portoricani non devono però più “nascondersi” come nella versione di Wise e Robbins, e nel finale si sottolinea ancora di più che la guerra che abbiamo visto per più di due ore è tra poveri: la città e i potenti non stanno neanche a guardare, sono eclissati allo spettatore e al mondo narrato.
Il vero popolo scende in strada rivendicando un ruolo e una voglia di levarsi, per cause giuste o sbagliate, come nel perfetto numero di America, dove queste contrapposizioni razziali esplodono in un tripudio di colori e movimenti edificanti. Un film di donne, forti e caparbie, in confronto a uomini poco coraggiosi sia con sé stessi che con ciò per cui dovrebbero lottare (vedi Chino e la sua vendetta dettata più da un velato amore per Bernardo che per Maria). Ma dalla lezione morale, non moralistica, Spielberg parte per poi regalarci un vero trattato su cosa voglia dire realizzare un’opera d’Arte: nessun postmodernismo, nessun effetto speciale appariscente, ma un musical che non si preoccupa di elevare la verità della strada anche con luci e colori “naturali”. Una continua alternanza di chiaroscuri, di luci che si infrangono nell’obiettivo, di ombre che minacciosamente si fondono come nella sequenza del duello. Un piacere per gli occhi e le orecchie. Il cast di giovani attori, perfetti nella caratterizzazione e nel cantato, è tenuto a battesimo dalla commovente e generosa Rita Moreno a cui è doveroso un secondo Oscar. Un grande spettacolo che forse non farà meravigliare un pubblico giovane ma che a tutti noi malinconici scalda il cuore e fa inumidire gli occhi. Applausi.