Meta-Matrix d’amore
Diciotto anni dopo la liberazione di Zion (Matrix Reloaded, Matrix Revolutions) Neo/Thomas Anderson (Keanu Reeves) è uno sviluppatore di videogiochi di successo. Ispirato ai suoi ormai flebili ricordi del passato da Neo, il suo Matrix è l’opera videoludica più ricercata. Per riuscire a gestire la sua vita ordinaria, Thomas è in cura da uno psicologo (Neil Patrick Harris) che a ogni seduta gli somministra una pillola blu con cui impedire ai ricordi di Matrix di riemergere dall’oblio.
Quando però il suo capo, Smith (Jonathan Groff), gli annuncia che la Warner Bros lo vuole al lavoro per una trilogia-sequel del suo Matrix, e contemporaneamente Bugs (Jessica Henwick) e Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) accedono per puro caso alla simulazione modale in loop da lui creata, il fragile equilibrio della sua vita viene del tutto compromesso. Non vi è così altra scelta per Thomas/Neo se non di scegliere la pillola rossa per scoprire – ancora una volta – quant’è profonda la tana del Bianconiglio.
Elaborare il lutto. Quello dei genitori Ron e Lynne scomparsi entrambi nel 2019. Si potrebbe inquadrare così la ratio filmica alla base di Matrix Resurrections. Quarto capitolo della saga di Matrix che nel vedere in regia la sola Lana Wachowski e non Lilly, ci suggerisce un differente modo di elaborare il dolore della perdita. Se però per Lilly tornare in Matrix avrebbe significato un passo indietro dopo la sua transizione, per Lana – come dichiarato su EW – riabbracciare Neo e Trinity è stato confortante: “Non potevo avere mia madre e mio padre. Eppure all’improvviso ho avuto Neo e Trinity […]. È questo che fa l’arte. E questo è ciò che fanno le storie. Ci confortano e sono importanti”.
Sollievo dell’anima che in Matrix Resurrections Wachowski declina in un bricolage narrativo che tra nostalgia e nuovi inizi destruttura il concetto stesso di sequel – e di riflesso delle logiche industriali hollywoodiane – attraverso meta-linguaggi arguti e dissacranti che è esplicitazione del potere taumaturgico dell’arte di un deja-vù sbagliato. È una nuova forma quella della resurrezione di Matrix. Una transizione filmica che nell’asciugare quasi del tutto gli intenti esistenziali da fantascienza alta del capostipite snellisce la solida componente action di Reloaded e Revolutions (qui rarefatta e poco ispirata), giungendo così nel romantico terreno narrativo della poetica ricongiunzione. Quella di un Neo la cui morfologia John Wick ne amplifica l’aura cristologica da Eletto, e di una Trinity rivestita dalla Wachowski di nuovo ruolo messianico, riuniti dall’amore: l’unico e solo motore dell’Universo.
Pienamente in linea con la produzione artistica delle Wachowski dell’ultimo periodo (Cloud Atlas, Jupiter – Il destino dell’Universo, Sense 8) Matrix Resurrections è spiazzante e divisorio. Cinema immaginifico e fiabesco dal fascino senza tempo che in modo sorprendente e inaspettato ricodifica e rilancia il mito di Neo e Trinity per una nuova generazione di spettatori.