Così in terra
Verso la fine del 1800, in una fattoria della campagna danese, la quattordicenne Lise si sveglia nella sua stanza con una certezza: presto lascerà il mondo che conosce per diventare “grande” e andare in collegio. Ma non è tutto così semplice: la madre di Lise, incinta per l’ennesima volta, va in travaglio e si capisce subito che le cose potrebbero non finire bene.
Contenuto interamente nell’arco di meno di due giorni, As in Heaven (Du som er i himlen) è un film impressionistico, che si bilancia tra la realtà brutale di Lise e la sua prospettiva ancora bambinesca, quasi onirica, di ciò che la circonda.
Il suo mondo è bucolico, brulicante di fratellini e tenerezza, un mondo pieno di promesse, mentre al calar del sole le cose cambiano e i suoi sogni sono popolati da scene orribili: nella sequenza di apertura, Lise è in un campo di grano; il cielo si riempie di nuvole color porpora, inizia a piovere sangue. La notte, che occupa la maggior parte del film, è un incubo a occhi aperti: l’innocente Lise si trova a spiare sua madre a carponi sul pavimento, mentre urla fuori di sé per i dolori del parto.
All’inizio del film, gli uomini escono e vanno a lavorare nei campi: quasi fino alla fine, quello che si consuma è un dramma totalmente incentrato sulle donne. Ci sono Lise, le sue sorelline e le cugine; c’è la loro madre, le zie e le nonne che si affannano per seguire il parto imminente. Insieme a Lise, impariamo che nessuna donna è veramente libera: la propria salute e fortuna è tenue, e indissolubilmente legata alla religione, le credenze popolari, e il potere totale degli uomini, anche quando sono fuori scena.
Nel passare del tempo, ai grandi spazi aperti in cui Lise e la sua famiglia giocano allegramente si sostituiscono le stanze anguste e buie della fattoria; l’atmosfera fatata si spegne in una soffitta spaventosa dove Lise deve trovare delle lenzuola per sostituire quelle della madre, zuppe di sangue.
È un film stupefacente, sopratutto considerando che è uno dei pochi lungometraggi della regista danese Tea Lindeburg, finora impegnata perlopiù in tv. Questo è un lavoro complesso e intelligente, dove pochissimi elementi vengono utilizzati per dare ricchezza sia visuale che tematica. Come dal titolo, non c’è giudizio nello sguardo della regista: quello che pesa sul film è il giudizio di Dio, e la protagonista Lise non può che raccogliersi i capelli e accettare il suo destino.