Tra intimismo e grandeur
Dune è un romanzo fantascientifico scritto da Frank Herbert nel 1965. Vincitore dei massimi riconoscimenti della narrativa di genere (tra cui il Premio Nebula e quello Hugo), è solo il primo dei sei romanzi che sono la parte centrale e originaria del ciclo completo, nonché un libro che detiene il record di vendite nell’ambito della fantascienza letteraria. Dopo aver influenzato tutto il filone (tracce della sua essenza si trovano anche nell’idea di Star Wars), il racconto è stato un po’ il Sacro Graal del cinema sci-fi: non solo Jodorowsky ha tentato più volte di ridurlo a film, ma anche David Lynch ne ha fatto un’opera controversa e dibattuta, che da scult oggi sembra essere assorta a rango di cult.
Visivamente sontuoso, narrativamente ciclotimico, Dune di Villeneuve è – almeno all’inizio – un’esperienza totalizzante e incredibilmente affascinante, prima di tutto per come riesce a conciliare e amalgamare la parola scritta con la messa in scena, in un racconto perennemente percorso da un’inquietudine inespressa e immanente.
Villeneuve è un autore con le sue ossessioni, ben definito da uno stile meditativo e una predisposizione alla grandeur che non tralascia mai l’approfondimento: una delle sue capacità più evidenti è comunque quella di saper replicare la violenza del suo mondo esistenziale in ambiti circoscritti ma sempre intimisti, in un immaginario tendenzialmente incline ad aprirsi alla possibilità (ma anche alle insidie) dei generi più iconografici come proprio la fantascienza.
Il nucleo magmatico e ribollente di Dune è un calderone affascinante dalla difficile trasposizione su grande schermo, almeno fino a qualche anno fa (la mancanza di effetti speciali prima, e in seguito la nascita e l’importanza sempre maggiore data alla CGI, sono stati due degli ostacoli più difficili per Jodorowsky): difficile ma irresistibilmente attraente, visto che, dopo la miniserie tv del 2000, anche Denis Villeneuve ha deciso di farne un film, che ha debuttato in prima mondiale alla 78° Mostra del Cinema di Venezia. Da Prisoners ad Arrival, fino a Blade Runner 2049, il regista canadese è sempre riuscito a declinare grandi storie portando sullo schermo tanto gli abissi interiori dei sui personaggi quanto le ambiguità della quotidianità (fino allo sdoppiamento fisico di Enemy). Questo ha fatto sì che Villeneuve potesse assecondare sia l’esigenza prettamente narrativa di un cinema classico e a tratti divistico, sia la sua ricerca di una poetica d’autore spettacolarizzata, ma fondata su un’idea di bellezza capace di trascendere le efferatezze più feroci della realtà, in un rapporto dialogico per comporre un ordine superiore. A ben vedere, allora, tutto questo ha trovato facile confluenza nella trasposizione di Dune, che fondava la sua morale sulla confusione – che preconizzava idee postmoderne – e sulla convulsione, messianiche ed escatologiche, che periodicamente si verificano nelle società umane.
La guerriglia di casate sul pianeta Dune per il possesso della Spezia diventa terreno fertilissimo, perché il film esploda letteralmente mostrando una magnificenza sbalorditiva: l’accuratezza del design definisce i paesaggi come le architetture, fino ai personaggi che, pure se inevitabilmente debitori del precedente lynchiano, riescono a vivere di vita propria. La presenza dell’effettistica è massiccia ma mai invasiva, anzi perfettamente integrata in un sistema emotivo anche grazie ad attori perfettamente in ruolo, da Timothée Chalamet ad Oscar Isaac, da Josh Brolin a Stellan Skarsgård, da Javier Bardem a Dave Bautista fino al cameo di lusso di Charlotte Rampling, a riprova di come un cast all-star non abbia impedito all’autore di tenere sotto controllo la storia e il suo svolgimento.
Pur immaginando i motivi produttivi, Dune pecca dal punto di vista della durata, con una prima parte e una parte centrale assolutamente bilanciate al contrario del finale. 155’ sono tanti, e per quanto i ritmi di Villeneuve siano strutturati in base alla sua idea di drammaturgia i venti minuti finali risultano posticci e incredibilmente lenti: tanto che potevano essere ridotti, o tutto il film allungato fino a ricomprendere anche la (prevista) seconda parte. Insomma, meglio un moloch oggi che due film incompleti domani.
(A latere: Dune è la definitiva conferma, se ce ne fosse bisogno, della necessaria centralità dello schermo all’interno del linguaggio cinematografico)
Dune (id., Stati Uniti/Canada 2021) REGIA Denis Villeneuve.
CAST Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Sharon Duncan Brewster, Stephen McKinley Henderson, Zendaya, Chang Chen, David Dastmalchian, Charlotte Rampling, Jason Momoa, Javier Bardem.
SCENEGGIATURA Jon Spaihts, Denis Villeneuve, Eric Roth.
FOTOGRAFIA Greig Fraser. MUSICHE Hans Zimmer.
Fantascienza, durata 155 minuti.